Spinge forte sul fronte della comunicazione il Consorzio del Pecorino Toscano Dop, appoggiandosi al mondo della ricerca universitaria e utilizzando a piene mani larga parte del lascito che la comunità scientifica ha accumulato in vent’anni di studi. A raccontarlo è il sito web del Consorzio di tutela della prima Dop casearia toscana (leggi qui) che, sostenuto dall’ospitalità dell’Accademia dei Georgofili – che ha messo a disposizione sede e prestigio – e dalla preziosa disponibilità del professor Marcello Mele dell’Università di Pisa (Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari, Agro-ambientali), lunedì scorso 18 maggio ha incontrato la stampa per raccontare “La Ricerca e l’innovazione nel Pecorino Toscano Dop: i risultati ottenuti e le sfide per il futuro”.
I contenuti della conferenza sono stati poi sintetizzati nell’articolo “Caratteristiche nutrizionali del formaggio Pecorino Toscano Dop in relazione al sistema di allevamento”, pubblicato dal sito web dei Georgofili (clicca qui per leggerlo) già mercoledì 20, firmato dallo stesso Mele, e poi ripreso in modo acritico – a seguire – dai vari Gambero Rosso, Teatro Naturale, Agronotizie e, puntuale, da larga parte degli organi di stampa regionali.
Molta meno enfasi – anzi alcuna – era stata invece data nei mesi scorsi alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea di una ponderosa richiesta di modifiche al disciplinare di produzione dello stesso formaggio (scaricabile da qui) che meriterà invece buona attenzione e il più attento vaglio degli enti preposti. Di fronte alla voluminosità della stessa c’è da chiedersi se non debba preoccupare che un prodotto “storico”, a diciannove anni dall’assegnazione della Dop e a venti dal suo primo disciplinare, abbia da richiedere così tante modifiche (senza però vietare gli Ogm né specificare la percentuale dei mangimi), e quanto quelle rischino di comportare uno snaturamento del prodotto finale.
Un prodotto che – tanto per dirne una – da sempre può essere realizzato tanto da latte crudo quanto da latte pastorizzato, e che – se dovessero passare queste ultime richieste – potrebbe essere fatto sia nella classica forma cilindrica che a mò di parallelepipedo (non stiamo scherzando: la motivazione? ridurre gli scarti nel porzionato, come se non si potessero mandare a “grattugiato”), tanto da caglio animale che vegetale (motivazione addotta: il voler produrre “kosher”, ma le pratiche della religione ebraica non impongono il coagulante vegetale!, ndr), e salato a discrezione del produttore, o in salamoia o a secco.
La nostra sensazione è che con il Pecorino Toscano Dop la regione abbia fatto una scelta anomala rispetto alla stessa natura della propria gente, forse dettata dagli interessi dei caseifici maggiormente “organizzati” ma in antitesi a quelli dei pastori e di chi trasforma in piccole quantità il solo proprio latte. Nella terra dei mille campanili, in cui ogni giorno in ogni comune si sentono riecheggiare i toni di contrapposizioni antiche, in cui la trippa non è una ma cento (e altrettante le ribollite) e ognuno si prende il suo primato, appare strano che si sia voluto prima imporre un unicum produttivo (con il “vecchio” disciplinare) e ora andare verso tante (troppe) soluzioni tecniche opposte le une alle altre. Latte: o crudo o pastorizzato. Caglio: o animale o vegetale. Forma: cilindrica, per favore! Salatura: ben venga quella a secco, ma che sia quella, anche se in pochi ormai, purtroppo, la sanno ancora fare.
25 maggio 2015