L’esasperazione, si sa, può portare chi è dalla parte della ragione – la più incontestabile delle ragioni – a quella del torto. A volte basta uno sfogo, ma se putacaso siamo in Italia e si parla di un predatore e soprattutto se lo si fa in presenza di qualche giornalista che vive di speculazioni, il peggio è fatto. È così che dev’essere andata se – dopo l’ennesima mattanza di pecore registrata nella Maremma toscana – una manifestazione di protesta legittima e sacrosanta è finita sulle pagine di alcuni quotidiani locali con i classici titoli scritti ad arte per vendere copie (c’è chi ha titolato sulla presunta intenzione di qualche disperato di sparare ai lupi; rara eccezione il quotidiano “Il Tirreno” che è riuscito a mantenersi obiettivo e pacato).
Poco importa a chi opera in questo modo nel mondo dell’informazione se una parte della Toscana che produce latte per i tanto decantati formaggi tipici viene proposta per ciò che non è al pubblico ludibrio. O peggio ancora se il fatto di cronaca diventa il pretesto per l’ennesima crociata delle solite sette animaliste e pseudo-ambientaliste.
Sta di fatto che dopo l’ennesima mattanza, mercoledì scorso, è scattata un’inevitabile manifestazione di protesta che dal caseificio di Manciano ha portato i pastori a riversarsi in strada con le ultime pecore uccise, protestando per quelle perdite, ma anche per gli animali dispersi, che “fra gli uni e gli altri si fatica a tenerne la conta”. I danni denunciati sono gravi, gravissimi: oltre alle pecore straziate, quelle a cui “per lo spavento cala la resa del latte”, e quelle di cui si dissolve ogni traccia, per l’appunto, spinte in qualche dirupo e finite dal predatore “senza che se ne possa neanche dimostrare la perdita”.
Alcuni pastori denunciano di aver perduto negli ultimi anni centinaia di animali. Ma non la forza, per fortuna. La voglia è quella di resistere, soprattutto da quando alcune delle associazioni di categoria si sono messe al loro fianco (anche se a volte un po’ tiepidamente, ndr) per sostenerne la causa, rigettando la squallida provocazione di qualche invasato “amico del lupo” secondo cui i pastori, vista la colpevole assenza delle istituzioni, sarebbero giunti alla determinazione del “dente per dente, occhio per occhio”. Il problema è sociale e la soluzione deve arrivare dallo Stato. Ma lo Stato ancora una volta colpevolmente tace.
Piuttosto – e in pochi tra gli accusatori hanno il buonsenso di ammetterlo, pur capendolo in molti – il presidio del territorio, soprattutto di quelli più marginali, da parte dei pastori è un bene irrinunciabile, con una valenza che non deve e non può essere messa in discussione, con una biodiversità da salvaguardare che va ben oltre la semplice e sovrabbondante presenza del lupo. Per non parlare del fenomeno dell’ibridazione, in nessun modo governato dalla Guardia Forestale dello Stato, dalle Asl, da nessuno. Si vada a vedere in Paesi come la Francia, in cui la pastorizia è mediamente più tutelata: là il grado di civiltà lo si misura a vista d’occhio, nei paesaggi in cui – ci viene in mente la Costa Azzurra – non è improbabile vedere alle spalle di un hotel di lusso il pastore con le sue pecore, più che tollerato tutelato come prim’attore di un ecosistema e di un’economia invidiabilissime, in cui davvero c’è spazio per tutti.
Da noi cosa? Polemiche, interviste di sedicenti giornalisti che un giorno fanno suonare una campana e il giorno dopo l’altra senza un approfondimento, senza offrire ai lettori un’opinione degna di un professionista. Poi, è ovvio, quando sul pulpito salgono “personaggi” come Fulco Pratesi (Wwf) o Dacia Maraini, gli articoli sono garantiti, i titoli si fanno di dimensioni doppie e le interviste diventano il verbo.
Purtroppo in questa desolante situazione non si intravede una via d’uscita, con la politica che non decide, per il timore di perdere consensi. Perché il “movimento” pro-lupo è assai trasversale e vasto, e per chi vive di consensi – a prescindere dal partito o dal movimento d’appartenenza – il timore di perdere voti vince sul dovere di decidere un da farsi, quale esso sia.
Sulla scena altre figure brillano per la scelta di non esporsi: tra di essi i caseifici e i loro responsabili. Dai pastori ritirano il latte, i problemi li conoscono e assai bene, ma nonostante questo da parte loro non una parola di sostegno, mai un gesto di solidarietà dichiarata. Anche tra loro, come tra i politici, vince la paura che il popolo dei lupofili sia ben rappresentato all’interno della propria clientela, e allora guai a dire qualcosa; guai a prendere posizione. In loro aleggia la speranza che la gente non arrivi a pensare a questa loro improvvida mancanza e alla pochezza del loro fare, ma il tempo – si sa – è galantuomo, e una parte dei consumatori una propria opinione sulla cosa – statene pur certi – la sta finalmente maturando.
29 giugno 2015