Il 14 aprile del 2013 è una data che gli abitanti di Ottana avranno a lungo impressa nella memoria, la data di un danno ambientale rilevante, che colpì le campagne per decine di chilometri attorno allo stabilimento della Ottana Energia, azienda del gruppo Clivati. Nella tarda serata – poco prima della mezzanotte – un boato sordo, la mattina l'inquietante scoperta di un manto oleoso e nero che avvolgeva cose e animali. Per i pastori fu l'inizio di una vera e propria battaglia che vede impegnate le parti in un processo presso il Tribunale di Nuoro.
La corte, presieduta dal giudice Tommaso Bellei, si è riunita mercoledì scorso 24 giugno accogliendo le istanze di costituzione di parte civile, ammettendo come parti offese sei agricoltori e pastori, rappresentati dagli avvocati Rita Tolu, Federico Delitala e Gianmario Pilatu e l'associazione di categoria Coldiretti di Nuoro, rappresentata dall’avvocato Oliviero Denti.
Imputati sono l'imprenditore milanese Paolo Clivati e il suo caporeparto Mario Tatti, che verranno chiamati a rispondere degli ingenti danni al patrimonio agrozootecnico, agli abitanti, all'ambiente (già si parla di disastro ambientale e saranno i dati raccolti dall'Arpas a definire l'entità del danno) a partire dal 12 novembre prossimo, quando a sfilare davanti ai giudici saranno i primi tredici testimoni.
Già nei mesi a cavallo tra il 2012 e il 2013 la Ottana Energia fu al centro di non poche recriminazioni da parte dei comitati di base locali per il progetto di riconversione a carbone della centrale termoelettrica, ritenuto dai più fonte di preoccupazione per la salute pubblica. Ne seguirono non poche polemiche nel corso delle quali il Civati dimostrò una buona dose di strafottenza e arroganza, di cui ancora il web riporta traccia (leggi qui).
Se in un primo momento l'immaginario collettivo non riuscì ad andare oltre ai problemi di una eventuale mancata manutenzione, la questione assunse ben altro profilo con l'esito degli accertamenti tecnici da cui è emerso l'uso non autorizzato del Cwf, una miscela di carbone ed acqua, con cui venne effettuato l'avviamento dell'impianto. Oltre l'esito processuale – che si spera adeguato alla gravità dei reati – la vicenda ripropone l'annosa questione della sovrapposizione di attività inquinanti laddove in origine e da secoli l'economia è pastorale e agricola. Questione che coinvolge se non giuridicamente quantomeno moralmente molti dei nostri amministratori locali che troppo spesso tradiscono il loro mandato di rappresentanti di una popolazione per favorire gli interessi non sempre limpidi di pochi potentati.
29 giugno 2015