Le Dop, si sa, non si inventano dal nulla, tant’è che per potersi fregiare del prestigioso marchio di protezione l’iter può durare anche oltre dieci anni, e la domanda dev’essere fondata su una documentazione storica certa, ampia e rigorosa. Tra i formaggi che sin qui han conseguito la denominazione d’origine protetta, uno che si è distinto per aver fornito una bibliografia storica di riferimento tra le più convincenti, è senza dubbio il Pecorino delle Balze Volterrane, prodotto con caglio vegetale in una circoscritta area geografica della provincia di Pisa.
L’antefatto
“Le peculiarità del Pecorino delle Balze volterrane”, recita il disciplinare di produzione, “nascono dal particolare metodo di produzione basato sull’impiego di caglio ricavato dai fiori della pianta di cardo, presente in abbondanza nel territorio”. Una produzione particolarmente legata e radicata a queste terre, quindi, che aggiunta alla bontà dei pascoli volterrani(*), disegna chiaramente i contorni di una tipicità locale e circoscritta.
Le fonti bibliografiche che citano il pregiato prodotto sono inequivocabili e ci arrivano da opere letterarie remote e attendibili, dagli inizi del XX secolo risalendo sino al XVIII e al XV secolo. In “un interessante carteggio della metà del 1700”, prosegue il racconto del suo disciplinare di produzione, “intercorso tra Monsignor Mario Guarnacci, erudito cittadino volterrano, ed il suo maestro il filologo Anton Maria Salvini”, si trovano (qui nella foto) i riferimenti più limpidi, chiari e inequivocabili che legano l’uso del caglio vegetale a questi territori e citano esattamente il nome del prodotto.
Le missive, “raccolte in un testo di Giuseppe Pilastri del 1926 (conservato presso la Biblioteca Comunale della Città di Volterra, ndr)“ non lasciano spazio a dubbi: contengono “espliciti riferimenti al Pecorino delle Balze volterrane”, che “è migliore, per qualità, perfino dei rinomati formaggi lombardi”. Più avanti, in un altro sonetto citato nel medesimo volume, gli elogi non lasciano ombre sulla superiorità che al prodotto veniva riconosciuta dagli illustri estimatori: “Ogni cacio egli cuopre oscura e atterra, E tutti i pregi in se dé caci aduna…”.
Fin qui l’antefatto, cioè nulla di nuovo. Ma vediamo come e perché una storia che sembrava già letta (la concessione di una Dop) possa tornare di estrema attualità e candidarsi per conquistare spazio in altre testate oltre le nostre (se la stampa fosse più libera toglieremmo la forma dubitativa, ndr).
Il misfatto
A ben guardare, ci eravamo già occupati – alcuni mesi orsono – tanto del Pecorino delle Balze Volterrane (23 febbraio scorso, per il conferimento della Dop, leggi qui), quanto delle molte modifiche apportate al disciplinare del Pecorino Toscano Dop (25 maggio sorso, leggi qui). Più di recente, il 5 agosto scorso, la svolta: un provvidenziale commento di un nostro lettore (Andrea Silvestri) al secondo dei due articoli ci indusse ad approfondire le vicende attorno ad una delle modifiche suddette. “Leggete bene”, dice il Silvestri nel suo breve messaggio, “sulla Gazzetta Ufficiale (trovate qui il link http://tinyurl.com/ns7c3vp ) ci sono tutte le modifiche al disciplinare (del Pecorino Toscano Dop, ndr) tranne quella del caglio vegetale, che evidentemente non è stata richiesta!”.
Superata l’incredulità dei primi attimi, ci è bastato cliccare sul link suggerito dal lettore per scoprire che di quella modifica sulla Gazzetta Ufficiale (della Repubblica Italiana, ndr) davvero non v’è traccia. E che qualcosa di oscuro doveva pur essere accaduto in questa vicenda.
“Com’è possibile” – ci siam chiesti – “che una modifica oggi presente nel disciplinare di produzione pubblicato sul sito web del ministero (“Il latte deve essere coagulato ad una temperatura compresa tra i 33° e i 38° con aggiunta di caglio di vitello o vegetale”: scarica qui, pdf, 78Kb) non sia mai stata richiesta secondo i dettami della legge (che impone la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, dove però tale modifica non compare: leggi qui)?
Come può accadere che la medesima modifica sia stata poi pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea(**)?
E inoltre, come avrebbero potuto eventuali legittime opposizioni (che ad esempio gli artefici del Pecorino delle Balze Volterrane avrebbero potuto presentare per difendere una microproduzione agro-pastorale dalla probabile aggressione delle industrie, ndr) essere presentate dai soggetti interessati, se la cosa è stata così tenuta “sotto traccia”, essendo mancate le necessarie attività divulgative che solo la Gazzetta Ufficiale dà e può dare?
Mossi da tanti interrogativi, il 13 agosto abbiamo deciso di telefonare all’Ufficio Stampa del Mipaaf, esponendo il “caso” ad un gentile funzionario e, seguendo il suo suggerimento, abbiamo inoltrato una pronta richiesta (il giorno stesso) via e-mail, richiedendo di visionare i carteggi, per capire cosa potesse essere accaduto, appellandoci al diritto/dovere d’informazione e alla legge sull’accesso agli atti pubblici.
“In tal senso”, dice la nostra e-mail indirizzata all’Ufficio Stampa del Mipaaf – “ci pregiamo di presentarvi formale istanza per accedere agli atti (art. 22 e ss. legge n. 241 del 07.08.1990) relativi all’intero iter di detta modifica, al fine di ottenere copia conforme di quanto a nostro avviso risulterà necessario per una esatta ricostruzione della vicenda”. Inviata la richiesta, attendiamo qualche giorno e nulla accade. Giunti al 24 agosto sollecitiamo una risposta che ad oggi – 7 settembre – stiamo ancora aspettando.
Va da sé che – lo sottolineiamo per i non addetti ai lavori – nella logica dei flussi dell’informazione e della deontologia professionale di ciascun operatore del nostro settore (quello dell’informazione, per l’appunto, ndr), in genere accade che un Ufficio Stampa, quale esso sia, sia orientato a soddisfare le richieste che giungono da editori e giornalisti, per agevolare il buon flusso delle notizie e sostenere un’informazione basata sui fatti e non sulle ipotesi.
Allo stato attuale, tutto ciò che possiamo dire oggi è che qualcosa, di certo, non ha funzionato. Che qualcosa di insolito dev’essere accaduto, nel Palazzo.
Oltre il danno, la beffa
Altra cosa certa è che lo scenario che ora si rivela offre una prospettiva assai grave per una micro-realtà come quella del Pecorino delle Balze Volterrane che, avendo conseguito la Dop da pochi mesi, rischierà di faticare, e non poco, ad emergere sul mercato. Perché le industrie avranno facoltà di produrre ovunque nella regione un formaggio che per cultura è legato ad un’area molto circoscritta, che da secoli (se non da millenni) produce il suo formaggio solo e unicamente con quella tecnica (utilizzando il cardo selvatico di cui i territori delle Balze Volterrane sono ricchi).
Quanto danno porterà ai pastori e ai piccoli caseifici volterrani questa indebita sovrapposizione? Quanti produttori di latte e di formaggio dell’areale di produzione del Pecorino delle Balze Volterrane si chiameranno fuori dal nascente consorzio di tutela, di fronte alla prospettiva di essere schiacciati dalla concorrenza di realtà tanto più grandi delle loro?
A queste e a molte altre domande proveremo a dare delle risposte tornando a chiedere al ministero il carteggio relativo alle ultime Modifiche al disciplinare di produzione del Pecorino Toscano Dop, attraverso raccomandata e/o e-mail pec. Ma non solo: allargheremo la nostra indagine ai vari attori della vicenda, dai responsabili dei due consorzi ai responsabili dell’Assessorato all’Agricoltura e dell’Ufficio Stampa della Regione Toscana.
Concludiamo, per ora, lanciando due inviti ai nostri lettori: a tornare su queste pagine per seguire gli sviluppi della vicenda, ma anche e soprattutto a rendersi parte attiva nella divulgazione di questa storia. Una storia che, a guardar bene, tocca in modo diretto gli interessi di ciascun consumatore.
7 settembre 2015
(*) Sempre citando il disciplinare di produzione (leggi qui): “Questo aspetto e la specificità dei pascoli determinano differenze con gli altri formaggi ottenuti da latte ovino soprattutto sotto il profilo organolettico. In particolare, a parte la dolcezza, che è inusuale in un formaggio pecorino, sono percepibili profumi unici di erbe e fiori, le cui essenze, grazie alle ridotte temperatura di lavorazione (< 40°C), rimangono disciolte e caratterizzano il prodotto finito conferendo al formaggio gusti e profumi tipici dell’areale di produzione.
Proprio queste caratteristiche sono state alla base delle lodi che molti, da letterati a studiosi di scienze agrarie, hanno speso sul prodotto…”
Altre fonti storiche sono citate nel disciplinare di produzione del Pecorino delle Balze Volterrane, scaricabile cliccando qui (pdf, 135Kb)
(**) Trascriviamo integralmente il passaggio presente sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, che in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana manca: “Metodo di ottenimento – È stata inserita la possibilità dell’uso di caglio vegetale, antica pratica toscana di produzione del pecorino (già menzionata nella domanda di registrazione a livello nazionale presentata nel 1985) ripresa negli ultimi anni sia come pratica tipica del territorio che per la produzione di formaggi destinati al mercato Kosher”
(il lettore che voglia approfondire clicchi qui per una lettura integrale)