Riceviamo e volentieri pubblichiamo una richiesta di rettifica al nostro articolo “Con la formaggiera Carpigiani la vera arte casearia va in soffitta“, pubblicato lunedì scorso 2 novembre. Ad inviarcela è la Dottoressa Michela Iorio dell’Ufficio Comunicazione della Carpigiani.
In calce alla lettera dell’industria bolognese il lettore potrà trovare alcune nostre precisazioni che aiuteranno a chiarire ulteriormente il nostro punto di vista sulla questione.
Un grazie alla Dottoressa Iorio per il contributo offerto al confronto.
La Redazione di Qualeformaggio.it
Oggetto: Richiesta di Rettifica articolo apparso su Qualeformaggio.it il 2 novembre 2015 dal titolo “Con la formaggiera di Carpigiani la vera arte casearia va in soffitta” (A norma della Legge 416/1981)
Gentile Direttore,
siamo a richiedere la rettifica di quanto riportato nell’articolo menzionato in quanto non corrispondenti alla realtà dei fatti e a quanto comunicato dall’azienda.
Citiamo per punti le inesattezze dell’articolo e il testo di rettifica:
“Il nuovo prodotto di Carpigiani rappresenta il capolinea della produzione casearia classica: è uno strumento in cui versare latte e attendere un dato tempo per vederne uscire il prodotto desiderato.”
Cheesemaster fa parte del sistema caseario Carpigiani-Perenzin in cui la tecnologia Made in Italy insieme a un percorso formativo è a servizio dell’artigiano che vuole intraprendere la strada dell’arte casearia. La macchina serve alla preparazione del latte per poi procedere alla trasformazione secondo i tempi e i modi dell’artigianalità della professione casearia. Si abbina alla tecnologia anche un percorso formativo in collaborazione con Latteria Perenzin e l’Accademia Internazionale dell’Arte Casearia. Non si schiaccia un pulsante e si ottiene un tipo di formaggio, quindi. La macchina è uno dei componenti del sistema caseario come spiega anche il nostro video-tutorial.
“Senza avere modo di intervenire – come si deve intervenire – prima, durante e dopo l’ingresso del latte in caldaia, a seconda della natura del latte che è entrato in caseificio quel giorno (il buon latte, lo sapete, non è mai uguale a sé stesso).”
Si può intervenire in qualsiasi momento sistemando anche le temperature come si preferisce. La macchina non limita in nessun modo l’operato dell’artigiano casaro ma è di supporto alla sua attività.
“A detta di chi ne sta parlando in questi giorni, per lo più con toni enfatici (giornalisti che nulla sanno di trasformazione lattiero-casearia, ndr), l’attrezzatura produrrà otto tipi di formaggio. E non nove né dieci. Spazio per programmi futuri, nuove idee e tendenze di mercato: zero.”
Sui nostri cataloghi per esigenze di spazio e di comunicazione riportiamo le possibilità di partenza, ma la macchina permette di aiutare l’artigiano a produrre qualsiasi tipo di formaggio desideri con qualsiasi tipo di latte sulla base dell’esperienza e della creatività del produttore.
Le chiediamo cortesemente di pubblicare la nostra richiesta di rettifica e la invitiamo a visitarci in azienda per scoprire le funzionalità della macchina e a discuterne insieme.
Cordiali saluti,
Michela Iorio
Ufficio Comunicazione Carpigiani
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Risponde il nostro Direttore Responsabile Stefano Mariotti:
Gentile Dottoressa Iorio,
immagino che essendosi occupata lei sinora di gelati e macchine per la produzione di gelati (gelatiere) possa non sapere molto del variegato settore lattiero-caseario, in cui determinati termini sono da secoli (e millenni) appannaggio di determinate persone e cose e quindi non più utilizzabili da altri. A meno che non le si voglia scippare ai legittimi detentori.
Il casaro, ad esempio, è l’uomo che nel caseificio tradizionale svolge un’attività complessa (ne può vedere due all’opera nelle foto, qui sopra), muovendosi in uno spazio fisico (caseificio) che contiene attrezzi, sistemi e spesso, oggigiorno, macchinari necessari per la produzione casearia classica (tradizionale). Per chi spinge uno, dieci o venti pulsanti di una macchina per la produzione di formaggi (formaggiera) dovremo trovare un altro sostantivo. È una questione di lessico. Io propongo “operatore alla formaggiera”, derivando quest’ultima parola dall’omologa “gelatiera” di cui sopra.
Si chiamano poi minicaseifici – esistono ormai da oltre dieci anni – determinate attrezzature che concentrano in un unico macchinario, di concezione ben diversa dal vostro (qui a sinistra una foto), le funzionalità del caseificio tradizionale. Essendo quindi i minicaseifici altra cosa, io propongo, come ha già inteso “formaggiera” in omologia al termine da voi già usato di “gelatiera”. Se destinata ai professionisti (ristoratori, bottegai, etc.) aggiungeremo l’aggettivo “professionale”.
Si chiama infine arte casearia la massima espressione della lavorazione casearia, per raggiungere la quale devono coesistere una serie di fattori non raggiungibili in un sistema come quello della Latteria Perenzin né della cosiddetta “accademia” che lei cita. Quindi giammai nella “formaggiera”. Tra di essi: il latte deve essere prodotto da ruminanti alimentati prevalentemente ad erba di pascolo; la trasformazione del latte deve essere compiuta a caldo (senza refrigerazione) e a crudo (senza trattamenti termici preventivi del latte); va escluso l’uso di fermenti lattici selezionati; fondamentale poi è che la lavorazione avvenga coinvolgendo i sensi del casaro, quindi che sia “visiva” e manuale (il casaro usa i propri sensi per controllare molte delle fasi di lavorazione, senza eccessive mediazioni di apparecchiature). Questa è Arte, e da sempre è così.
Detto questo, capirà come dal mio punto di vista (e di larga parte dei miei lettori, mi creda) poco importi il numero dei pulsanti (uno o dieci: nulla cambia nella sostanza) da spingere e i tempi di attesa (un solo ciclo o più cicli, non è lì il nodo della questione), poco conti quante e mirabolanti funzioni abbia la macchina (sieroinnesto, lattoinnesto, fermenti, termizzazione, pastorizzazione, a crudo, etc.).
Quel che conta, per me – e ancor prima per il Mondo Rurale, Dove il Formaggio È Nato – è che purtroppo la macchina stia togliendo lavoro all’uomo (l’uomo rurale, che a pieno titolo è depositario di molto di ciò che il signor Piccoli oggi reinterpreta), stia accantonando il casaro, lo stia emarginando, lo stia scippando del suo fare, interrompendo il fluire della conoscenza di padre in figlio, perché spostare il fare formaggio dalla montagna in città, scombina gli equilibri sociali, svuota le montagne (anche fosse per un casaro in meno, di una perdita si tratta) e in questo senso crea problemi a molti, per portare vantaggi a pochi (chi voglia approfondire tali tematiche vada a leggere l’articolo “Minicaseifici: artigianalità a rischio d’industrializzazione“, scritto dal Professor Michele Corti docente di Zootecnia di Montagna presso l’Università degli Studi di Milano e pubblicato su questo nostro sito web nel maggio del 2013).
Badi bene, il Mondo Rurale è un Mondo che – nel senso del bene sociale – dovrebbe stare a cuore a tutti. Che dovremmo conservare vivo e vitale per mille e più motivi. Un Mondo che non fa solo il Buon Latte e il Buon Formaggio, un Mondo che Presidia i Territori Marginali, e così facendo li mantiene vivi e vitali, per la Sicuezza di chi Vive a valle (non ricordiamocene solo quando vengono giù fiumi di fango!) e non ultimo per il piacere dei nostri occhi, quando in montagna incontriamo una malga ancora viva anziché ruderi in sterminate visioni di rovi e abbandono.
Ma avviciniamoci un poco di più al nostro Buon Latte, per vedere se riusciamo a conoscerlo meglio. Fare formaggio, per chi si professa artista (anche se solo in base ad un’autocandidatura) o artigiano coscienzioso non può prescindere dalla disponibilità di Buon Latte, possibilmente Giallo (è il latte di animali al pascolo, che ha quella colorazione per la presenza nell’erba di betacarotene) e mai uguale a sé stesso, cosa pressoché impossibile per la stragrande maggioranza di chi acquisterà la formaggiera.
Se ci guardiamo attorno, giù nel fondovalle in cui Latteria Perenzin e la sua “accademia” operano (e ancor più in città e nei centri urbani dove il Cheesemaster verrà venduto), oltre ai capannoni, alle lingue d’asfalto e alle villette, quando riusciamo a incontrare una stalla, cos’è che vediamo se non silos (con tutte le insidie che gli insilati comportano) e carri unifeed (per il “miscelone-sempre-uguale detto “piatto unico”)? E allora, a cosa sarà valso riversare tanti tecnicismi in un’attrezzatura, se manca la materia prima per fare il Buon Formaggio? La risposta è una e una sola, messi da parte i guadagni delle vostre aziende: a Poco e a Nulla.
Concludo per giungere alle questioni tecniche, e al non essere io un tecnico del settore: non lo sono e non voglio esserlo, ma ho fior di tecnici che offrono il loro contributo scientifico a questo mio portale web, che oltre a contenere la testata giornalistica settimanale in cui questo articolo si trova, ha una Rubrica Tecnica in cui le questioni tecniche vengono trattate. Mi adopererò, compatibilmente con chi tra loro si occupa del latte e della sua trasformazione nel prendere in visione la macchina, nel testarla, nell’analizzarla, se da parte della sua azienda ci sarà la disponibilità a fornircene un esemplare e a fare in modo che test ed analisi vengano realizzati.
Certo, sarebbe stato meglio farlo “prima”, quindi per il futuro e in casi analoghi Carlo Piccoli e il suo team ci tengano in considerazione e ci coinvolgano per tempo. Cosa che sinora è mancata più per loro incuria che per nostra disponibilità e presenza nei loro confronti (il nostro sito pullula di articoli in chiave positiva sul loro operato e include sinanco dei loro video, il tutto da noi pubblicato unicamente per fare informazione).
Infine, colgo l’occasione di questo spazio per dedicare pochi concetti al Signor Carlo Piccoli della Latteria Perenzin, che in un suo polemico commento al mio articolo della scorsa settimana ha alternato ripetutamente i concetti del suo variegato fare al mio “scrivere” (“io faccio questo e tu scrivi, io faccio quest’altro e tu scrivi…”). Scrivere è fare informazione, è fare cultura, è permettere che le idee circolino, è offrire punti di vista difformi, è libertà d’espressione ed è anche insinuare nel lettore il dubbio. Ed è lì – è evidente – che batte la lingua: dove il dente duole.
Carlo Piccoli, che firmando quel commento, ha avuto l’ardire di definirsi “Creatore di formaggi” non è un Dio né un padreterno: è semplicemente un eccellente riproduttore di formaggi, un interprete. E – per quanto eccellente lui, e in quanto riprodotti loro – mai e poi mai i suoi formaggi – che siano fatti in caseificio, nella cosiddetta “accademia” o con la formaggiera – potranno fregiarsi, a mio avviso, della “F” maiuscola che è appannaggio esclusivo di quei Casari in grado di praticare la vera Arte casearia.
Stefano Mariotti
Direttore Responsabile
di Qualeformaggio.it
9 novembre 2015
Si ringrazia il Professor Michele Corti, docente di Zootecnia di Montagna presso l’Università degli Studi di Milano, per tre delle quattro foto pubblicate (quella di apertura è di Qualeformaggio.it)