Quello che passerà alla storia del nostro settore come un annus horribilis (guerra del latte, stalle che chiudono, eccetera, eccetera) termina con un gran bel segnale di speranza. Un segnale piccolino, se si vuole, per le dimensioni dell’azienda che lo invia, ma grande per il significato universale che racchiude in sé: riconvertire è possibile – da zootecnia intensiva a estensiva – per superare la crisi e mettersi nei binari giusti, per guardare ad un futuro roseo, finalmente, e per scoprire nuovi orizzonti e nuovi stimoli.
A mandarci questo bel messaggio – che ci auguriamo sia di buon auspicio per tutti e di esempio almeno per alcuni – è stata ed è Cascina Roseleto di Villastellone, cittadina di neanche 5mila anime, a 18 chilometri a sud-est di Torino. Nel volgere di appena due anni l’azienda ha saputo ribaltare una realtà in cui il latte prodotto era tutt’altro che straordinario (per quanto di Alta Qualità), in cui le bovine non facevano poi una gran bella vita (pur nel rispetto del benessere animale) e in cui l’ecosistema era piegato alla logica della monocoltura di mais. Per non parlare poi dei conti, che da qualche tempo non c’era verso di farli più quadrare.
Oggi, a due anni dalla riconversione da mais a prato-pascolo, guidata in maniera encomiabile dal professor Andrea Cavallero dell’Università di Torino (sulle linee-guida del progetto del Latte Nobile, che l’azienda produce dal giugno del 2014) le vacche – trenta, non più centotrenta come sino al 2011 – sono libere al pascolo ogni giorno, ad eccezione dell’ormai breve inverno, in cui sono nutrite con fieni e qualche concentrato aziendali, godono di una miglior salute (6,5 lattazioni di media, contro le 3,5 registrate nel 2012), e soprattutto producono un latte come non ce n’è in tutto il Nord Italia: ricco di Omega3 (naturali), di Cla (Acido Linoleico Coniugato), di beta-carotene, di vitamine. E di tanto buon gusto che si ritrova poi in ogni singolo prodotto dell’azienda: dal latte crudo (c’è il distributore in paese) al pastorizzato, intero e parzialmente scremato, agli yogurt, naturali e alla frutta, e al gelato (anche le uova sono prodotte dalla cascina).
Ecco, il gelato che ormai è il simbolo di Cascina Roseleto, è in qualche modo il prodotto che ha portato l’azienda stessa a convertire, a migliorare anno dopo anno: il gelato che – già nel 2009 – ha indotto Claudia Masera, la titolare, e il fratello Angelo, responsabile della stalla, a pensare di cambiare registro, a riscoprire l’ambizione (una dote innata in molti, che si spegne non appena si inizia a lavorare per l’industria) di fare meglio.
Il ritorno all’erba e ai fieni polifiti
E così, già nel 2010, ecco il primo significativo passo: via l’unifeed dall’alimentazione del bestiame e spazio ai fieni polifiti, al loietto, a pochi ma buoni concentrati (no Ogm), acquistati in loco. Il primo risultato, immediato (quando lavori per te stesso sì che te ne accorgi!), è giunto dal gusto stesso dei prodotti, a partire dal latte, liberato da quella nota di amaro (dovuto proprio all’unifeed) che lo aveva caratterizzato per anni. Da lì a voler far meglio, il passo è stato breve, e il procedere è stato sostenuto dall’Università di Torino (al professor Cavallero si è poi affiancato il professor Giampiero Lombardi): liberati i terreni aziendali dalla monocoltura, analizzata la loro sostanza, ottimizzata naturalmente per ripartire con un giusto substrato, è stato dato il via alle semine dei prati polifiti (la gran parte), di erba e consociati (due graminacee), questi ultimi nei terreni non contigui all’azienda, destinati alla fienagione. In tutto ventiquattro ettari (quattro in affitto, il resto di proprietà) in cui, nel volgere di due anni, son tornati a farsi vivi, spesso e volentieri, sia gli aironi guardabuoi che le api, indicatori inconfutabili di un ritrovato equilibrio ambientale.
Una piccola grande ricompensa, quindi, con cui l’ecosistema ha ripagato la famiglia Masera di tanto impegno, e che si è aggiunta a non poche altre soddisfazioni, morali e materiali: dalla riduzione dei costi di alimentazione e delle spese farmacologiche e veterinarie al miglioramento della sanità animale, dalla qualità reale del latte (le vacche ne fanno 16 litri al giorno di media, contro i 29 di un tempo, ed è un latte ricco ora di micronutrienti nobili) all’apprezzamento del prodotto da parte della clientela più attenta. «A distanza di così poco tempo, c’è un pensiero esaltante che ci accompagna», spiega Claudia, «ed è quello di essersi liberati di una serie di schiavitù: quelle dei concimi di sintesi, quella del diserbo, quella delle sementi e, non ultima, di aver ridotto drasticamente l’uso del gasolio, che utilizziamo solo per alcune lavorazioni marginali».
Formaggi… e non solo!
Ma la novità più recente, che trova spazio in questi ultimi giorni dell’anno nei due punti vendita di Villastellone e Torino (due gelaterie, aperte nell’agosto del 2009 e nel maggio del 2013), sono i formaggi. Formaggi freschi, beninteso, che però hanno la prerogativa di essere prodotti nello stesso laboratorio di gelateria, sufficientemente attrezzato per sfornare tomini (presamici, lattici e a latte crudo), primo sale e ricotte. «Oltre al buon latte dell’erba, al caglio e al sale, l’entusiasmo è un ingrediente preziosissimo, che scaturisce dal crescente apprezzamento di una clientela che cresce ed è sempre più affezionata», racconta Claudia, sottolineando i buoni risultati già raggiunti in questa fase del progetto. Risultati grazie a cui ora si può guardare già ad un domani diverso: «certo, per produrre questi primi freschi, che già stanno dando ottime soddisfazioni, basta l’attrezzatura della gelateria, ma il sogno è quello di avere un caseificio, in un futuro non lontano, ed accorpare tutto in cascina, per razionalizzare e ottimizzare l’intero processo produttivo e i tempi di lavorazione».
E così, mentre dalla clientela fioccano i complimenti e le richieste (c’è chi chiede di poter trovare anche robiole e stracchini), Claudia già pensa (e fa: sono in corso le prime produzioni di prova) alle tome. Tome da 2kg, come si usava fare un tempo, tome da latte di vacche al pascolo: e chi ha orecchi per intendere, intenda di quali leccornie stiamo parlando.
In arrivo il “burro della memoria”
«Certo, di prospettive e progetti non ce ne facciamo mancare, poi arrivano le scelte, al punto di incontro tra i sogni realizzabili e le richieste del mercato», spiega Claudia. «La richiesta di latte parzialmente scremato aumenta, la scrematrice c’è, e con un ulteriore investimento arriverà la zangola (sorride, ndr), e con lei un po’ di buon burro, che i consumatori più attenti cercano, per le straordinarie doti nutrizionali. Il “burro della memoria”, come mi piace chiamarlo, che sarà molto richiesto, già lo so, e che non è certo facile trovare».
Concludendo, la storia recente di Cascina Roseleto racchiude in sé diversi paradigmi: ci fa capire che cambiare è possibile, com’è possibile liberarsi dalle catene della dipendenza dalle industrie. E a guardar bene, sono atti politici e sociali di grande rilevanza. Che ci permettono di comprendere che ambiente, qualità alimentare, quantità e reddito possono convivere in piena armonia, se ben amministrati. E che un futuro è possibile, per noi stessi e per le nuove generazioni. Per farlo, recuperiamo le metodiche produttive dei nonni con la conoscenza odierna, e affidiamole ai nipoti. In mezzo ci siamo stati noi, nati tra il secondo dopoguerra e gli anni ’90, troppo spesso illusi dai teorici della produttività e sempre diffidenti (noi) per le innovazioni che danno qualcosa (di apparente) e prendono molto (in sostanza), ma vigili e determinati adesso a dire “no, non ha funzionato, torniamo sui nostri passi” e procediamo verso un futuro che deve rimanere nostro.
21 dicembre 2015