Lingua blu, i pastori: ”Basta imposizioni. Vogliamo il dialogo”

   È una lettera aperta civile, che ha la forza delle idee, quella che abbiamo ricevuto in settimana e che ci pregiamo di pubblicare oggi, dandole il risalto massimo nella nostra homepage. Una lettera che è stata inviata giorni addietro all'assessore all'Igiene e alla Sanità della Regione Sardegna e che nella stessa isola ha trovato spazio (poco) sul quotidiano L'Unione Sarda (ne è stata tratta una sintesi) e sul sito web di Barbagia.net, che l'ha pubblicata integralmente, senza commentarla.

È una lettera, questa, che ci arriva da una aggregazione di pastori che non conoscevamo, e di cui vi diremo oltre. Una lettera onesta e carica di significati, che invitiamo tutti i nostri lettori a leggere. Perché i pastori di oggi dimostrano di avere una straordinaria coscienza e consapevolezza del loro ruolo sociale ed economico, ma anche un notevole bagaglio di conoscenza tecnica. E di sapere scientifico. E già solo per questo meriterebbero il plauso di tutti. In questo "tutti" ci piacerebbe pensare di poter annoverare il mondo della politica, anche, e quello delle amministrazioni pubbliche, della sanità, rappresentata dai veterinari e dai loro collaboratori. Che invece, oggi più di ieri, quando si recano in visita ad un'azienda agricola non riescono a farlo in punta di piedi, come si dovrebbe. Purtroppo.

Esemplari di Culicoides imicola, vettori del virus della Lingua Blu, ripresi durante un test di laboratorio - foto Alan R Walker© - Creative Commons LicenseQuesti pastori soffrono le ingiustizie e le imposizioni, purtroppo, ma per fortuna lo sanno dire. Tornano, con questo loro scritto, a parlare di lingua blu, a tre anni da una vera e propria strage di pecore che dovettero patire (leggi qui e qui) per un vaccino che fu al tempo stesso ingiusto e imposto. Un vaccino a cui – a detta delle autorità competenti – vanno di nuovo sottoposti adesso tutti gli ovini (ma anche bovini, caprini e bufalini) dell'isola.

Scrivono quindi i pastori, e rivendicano i loro sacrosanti diritti. Hanno già pagato per colpe non loro – e per un vaccino che mai avrebbe dovuto essere somministrato – e non vogliono pagare una seconda volta. Vogliono solo essere coinvolti, trattati come interlocutori e cittadini di un Paese che si ritiene democratico. Non come sudditi.

Questa lettera aperta ha però qualcosa di speciale: una lettura non basta, a cogliere le molte sfumature che contiene. E ad una inevitabile rilettura induce a pensare che da qualche parte, in qualcuno, ci sia l'interesse a farlo fuori quel vaccino, a consumarlo, forse per giustificare un'attività che ha avuto dei costi (comunitari), o per non incappare in qualche ammenda (comunitaria). O forse anche peggio: che qualcuno abbia interesse a consumare, a spendere, per mantenere uno status quo su cui è difficile supporre ma è lecito dubitare (e a guardar bene il passato, ce ne sarebbero di motivi per dubitare: clicca qui).

Il virus della Bluetongue o Lingua Blu al microscopio - foto CDC Usa© - Creative Commons LicenseIl nostro auspicio è che queste sacrosante rivendicazioni riescano a scuotere le coscienze: quelle degli amministratori che vorrebbero imporre – e che si auspica facciano un passo indietro – e quella di altri pastori ancora, che giungano ad aumentare la massa critica di questa aggregazione di uomini coscienti, determinati e consapevoli.

Mentre tiepida in noi è la fiducia che qualcosa possa cambiare, grande è il rammarico che questa lettera ci induce. Perché la lettera ci giunge anonima, perché i pastori, gli allevatori, gli uomini coscienti, preparati, sensibili e determinati, da un lato vogliono farsi valere, da un altro temono qualcosa. E temono qualcuno. "Se usciamo allo scoperto" – interpretiamo il loro pensiero – "ci mettono poco quelli a farci pentire di averlo fatto. Ci mandano un controllo al mese, e stai sicuro che, se vogliono, qualcosa che non va e su cui farti una multa la trovano".

E allora, quanto manca per sperare che le cose inizino a cambiare? In teoria non servirebbe molto: servirebbe che controllori e controllanti capissero un po' di cose, neanche tanto difficili da intendere. Per dirne appena tre: che il mondo agropastorale è cambiato (e non poco), che i suoi attori sono cresciuti (e parecchio) rispetto ai loro stessi padri e che, dulcis in fundo, è solo con la loro microimprenditoria diffusa che la Sardegna potrà (potrebbe) essere protagonista di quel turismo di qualità – anche all'interno dell'isola – di cui si parla da decenni ma che nessuno ha ancora capito come costruire.

La Sardegna vuole cambiare in meglio? Davvero? Vuole crescere? La base è più pronta dei vertici, è evidente: se un cambiamento serve, quello ora dovrebbe arrivare dall'"alto". Inizino a cambiare quindi i controllanti e i controllori, gli amministratori pubblici e i politici. Inizino a leggerla questa lettera, e a muoversi verso le sue ragioni e verso le sue richieste. Con essa, qualcuno ha teso loro una mano, e ha richiesto un dialogo. La politica dimostri di essere quel che dovrebbe essere e dove dovrebbe essere: dalla parte del cittadino. Quando questo accadrà, se accadrà, potremo sperare di vedere una Sardegna migliore. Una Sardegna che oggi – purtroppo – non possiamo neanche immaginare.

Lettera aperta
ricevuta dalla nostra Redazione
martedì 12 gennaio 2016

Questa è una lettera aperta composta a più mani da un nutrito numero di allevatori, che scrivono all'Assessore Regionale alla Sanità in difesa della libertà vaccinale dei propri animali perché credono che questo diritto non possa essere negato per nessun motivo.

Gentile Assessore,

siamo i rappresentanti di un comitato di base della Sardegna, formato da centinaia di allevatori e migliaia di simpatizzanti della nostra Regione ma anche di altre Regioni Italiane.

Siamo imprenditori ai quali sta a cuore la salute dei propri animali e hanno questi obiettivi: pretendere un informazione scientificamente corretta e senza conflitti di interesse sui vaccini, la libertà di scelta, la solidarietà e la tutela degli allevamenti purtroppo danneggiati dalle "terapie imposte". Infatti gli effetti collaterali del vaccino sono una realtà (anche se ufficialmente non riconosciuta) e se fossero così rari come si intende far capire non saremmo ancora qui a recriminare. Molti allevatori, in seguito alla somministrazione del vaccino contro la Blue Tongue denunciano morie, perdite di latte, caduta di fertilità, dimagramenti.

Nel decreto n.22 del 10/09/2014, che pretende di imporre la pratica vaccinale obbligatoria per tutto il patrimonio ovino, caprino, bovino e bufalino  in tutto il territorio regionale, che diventa coattiva e sanzionatoria in caso di rifiuto, non si tiene conto che la "vaccino-vigilanza" è molto carente e che anche quando le pecore hanno reazioni gravi temporalmente connesse con la vaccinazione, molto difficilmente viene compilata una scheda di sospetta reazione avversa, inficiando tutti i nostri ragionamenti a posteriori sulla pericolosità delle vaccinazioni. 

Siamo fermamente convinti che le pecore che sono state colpite dalla Blue Tongue (sierotipo 1) nel 2012 e nel 2013 (la gran parte del patrimonio ovino Sardo) si siano ormai "autoimmunizzate" e quindi riteniamo del tutto inutile somministrare oggi un vaccino col medesimo sierotipo, che risulta vecchio e ormai scaduto. Ad avvallare questa tesi ci porta il fatto che negli allevamenti non vaccinati nell'anno in corso non si è verificata la malattia. Gentile Assessore, lei forse non sa che il terrorismo mediatico che viene applicato dai media sulla popolazione ignara, fomentando paure sulla diffusione di "pesti ed epidemie" non giova alla nostra già fragile economia. Paure del tutto ingiustificate, visto che la Blue Tongue o la Peste Suina Africana non sono malattie trasmissibili all'uomo; un aspetto questo di rilevante importanza, purtroppo da voi trascurato nei vostri proclami mediatici. 

Lasciare intendere che se tutti gli animali fossero vaccinati non ci sarebbero casi di Blue Tongue, significa fare disinformazione e non dire tutta la verità. Infatti, la prima causa di relativo fallimento di questa vaccinazione risiede nella ridotta durata dell’immunità evocata dal vaccino.

A prova di ciò riteniamo ricordarle che la protezione del vaccino diminuisce dopo quattro mesi dalla somministrazione. Quindi se l’immunità evocata dalla pratica vaccinale svanisce abbastanza rapidamente dovrebbe rendere gli animali suscettibili alla malattia nel periodo che si trovano scoperti. 

Gentile assessore, Inoltre non va dimenticato che la pressione esercitata dalle ASL per portare avanti la campagna vaccinale non sta sortendo l'effetto sperato, anzi, ha alimentato un risentimento negativo nei confronti di questo Sistema Sanitario, che ha scelto invece di autoreferenziarsi mediante la nomina sconsiderata di un esercito di Colonnelli e Generali, e soprattutto di privilegiare le funzioni di polizia a scapito di quelle tradizionali veterinarie. Di fatto il nostro comparto ha ripudiato totalmente queste funzioni repressive e sanzionatorie, che ottengono solo un desolante risultato: allungare le distanze tra il mondo rurale e le istituzioni, tanto che per scelta consapevole e cosciente, piuttosto che esporre i nostri animali ad una profilassi che provoca "effetti indesiderati" si è disposti a rinunciare agli indennizzi in caso di danni causati dalla malattia, con un grande risparmio di enormi risorse finanziarie, le quali si possono destinare ad altre "priorità". Allo stesso tempo ci rifiutiamo di pagare sanzioni esageratamente ingiuste, dato che alla fine di tutta questa storia gli unici ad essere danneggiati siamo solamente noi allevatori.

Abbiamo invitato i veterinari con senso di responsabilità a non fare propria questa follia, chiedendo un confronto a trecentosessanta gradi, che non c'è stato. 

Altro punto dolente riguarda il compito di "tutela e rappresentanza" delle nostre organizzazioni agricole, le quali hanno trattato l'argomento in modo troppo approssimativo in rapporto alla portata del problema e mancando di intraprendere con i propri associati una discussione preventiva. 

Escludendo dal dibattito i diretti interessati questi signori si hanno fatto da soli un autogol, perdendo la fiducia degli allevatori.

Non abbiamo lobby da difendere, ne pregiudizi nei confronti dei vaccini e nemmeno paura della scienza. Il nostro unico interesse è la salute delle nostre pecore, e di conseguenza la nostra economia.

Sentiamo il dovere di intervenire a nome dei migliaia di allevatori che hanno scelto e/o vogliono scegliere responsabilmente se, quando e come vaccinare le loro greggi.

Respingiamo naturalmente tutte le accuse di un nutrito numero di veterinari ASL che hanno espresso le loro argomentazioni in modo molto arrogante, senza rispetto, chiamandoci “antivaccinisti” e dandoci in sostanza degli ignoranti.

La vera scienza non si esprime in questo modo, non denigra il dissenso e non ha paura del confronto, anzi, lo cerca e da esso ne estrapola qualcosa di utile per tutto il sistema.

In conclusione, la nostra opinione è che, se si vuole costruire un Servizio Veterinario veramente moderno e che lavori per il bene dei nostri animali si dovrebbe puntare prevalentemente sulla personalizzazione di qualsiasi trattamento, ai fini di costruire un armonico accordo con l'allevatore. Non possono quindi esistere vaccinazioni di massa imposte per   legge, ma dobbiamo diffondere una profilassi diretta basata su una corretta igiene degli allevamenti e sulla lotta al culicoide, con le disinfestazioni e le bonifiche delle aree più a rischio.

Oggi abbiamo le conoscenze per fare questo. I vaccini invece, come qualsiasi altro farmaco, vanno usati ad hoc nel numero, nei tempi e nelle condizioni in cui si ritenga necessario e intervenire in base alle circostanze di ogni singolo allevamento.

Noi allevatori, che lavoriamo tutti i giorni sul campo accanto agli animali, rifiutiamo qualsiasi coercizione, allo stesso modo non possiamo accettare che, in assenza di una effettiva emergenza sanitaria, venga limitata la libertà di scelta terapeutica e che il ruolo di proprietari degli animali venga a mancare a causa di una imposizione vaccinale. 

Se così non fosse, ci troveremo di fronte ad una vera e propria "dittatura sanitaria".

Comitato di Base Allevatori