Se c’è un reato – impropriamente considerato minore – che da qualche tempo sta vivendo un vero e proprio revival dopo anni di apparente flessione, quello è l’abigeato. Da un anno a questa parte o poco più e per varie e diversissime ragioni, le cronache locali registrano un numero sempre maggiore di furti di bestiame. Raramente accade oramai che il furto sia commesso da un pastore ai danni dell’altro (un abigeato d’antan, per rimpinguare un allevamento a spese di altri), in quanto marche auricolari e microchip sono elementi altamente dissuasivi per i malintenzionati.
Per quanto ci riguarda e per quel che ne possiamo sapere noi, spesso seduti alla nostra scrivania e di tanto in tanto in visita a qualche azienda del settore, il fenomeno era sino ad un anno fa o poco più relegato ai trafiletti marginali delle cronache locali. Notizie di dieci o al massimo venti animali sottratti nottetempo dalla stalla di qualcuno, senza che se ne trovasse quasi mai traccia, si affacciavano di tanto in tanto dalle pagine dei siti web d’informazione, in maniera del tutto trascurabile.
A quanto pare però, negli ultimi mesi le cose son cambiate, in maniera drastica e assai negativa. Venire a sapere che un allevatore con mille pecore è stato vittima del furto di duecento di loro, lascia percepire non tanto che qualcuno ha fatto un “salto di qualità”, organizzandosi adeguatamente per il trasporto e lo smercio, quanto piuttosto che nel “settore” sono intervenuti soggetti nuovi, portando logiche e organizzazioni mai viste prima.
Dopo la vicenda che in dicembre aveva colpito il pastore transumante Giacomo Carminati in quel di Sospiro, nel cremonese (duecento pecore da carne; leggi qui, ma vicende analoghe erano accadute in autunno in Abruzzo, leggi qui), stavolta il caso, oltre che di dimensioni cospicue (oltre cento le pecore rubate, in un gregge di trecentocinquanta, di razza Saas) assume una connotazione internazionale.
Nei giorni scorsi è infatti accaduto che, a seguito di una denuncia presentata al Commissariato di Domodossola nel settembre del 2014 da alcuni pastori svizzeri alpeggiati in una zona di confine (non lontana dall’alta Valle Anzasca e Antrona), e dopo incessanti e lunghe indagini, condotte per oltre un anno dalla Polizia Provinciale del Verbano Cusio Ossola, gli inquirenti siano riusciti a mettere le mani sui malfattori. Sei in totale e tutti italiani, denunciati a piede libero. Tra di essi, un allevatore di Macugnaga, un veterinario della Asl locale, un titolare di un mattatoio del milanese e altre tre persone, tutte di origini ossolane.
Alcune delle pecore rubate sono state ritrovate vive in un allevamento nella zona di Ghemme, mentre altre purtroppo erano già state condotte al macello.
La Procura della Repubblica di Verbania, che nei giorni scorsi ha concluso le indagini, ha disposto il rinvio a giudizio dei sei per propria competenza territoriale. L’allevatore di Macugnaga è accusato di ricettazione, assieme al titolare del mattatoio e al veterinario della Asl. Questi ultimi due sono accusati anche di falsità ideologica per aver abbattuto e falsamente attestato regolari macellazioni. Altre tre persone, padre e figlio di origini ossolane e la convivente del padre, residenti in provincia di Novara e di Asti, dovranno rispondere di “furto con l’aggravante del concorso di reato su animali esposti alla pubblica fede”.
Nei mesi scorsi, la vicenda aveva dato luogo ad un curioso contenzioso, con le autorità elvetiche che si erano spinte a richiedere una rogatoria internazionale per individuare e assegnare alla giustizia gli autori del furto. A conclusione delle indagini e su autorizzazione della Procura della Repubblica di Verbania, la Polizia Provinciale del Vco ha provveduto a restituire i quarantadue campanacci recuperati agli allevatori svizzeri.
18 gennaio 2016