L'inverno è la stagione del maiale, in tante regioni d'Italia e d'Europa; è il periodo dell'anno in cui, in famiglia e con gli amici ci si ritrova in campagna a far la festa al porco, di cui – si sa – non si butta via davvero nulla. Un'occasione per ripercorrere il rito della norcineria, per stare assieme come una volta, almeno un'intera giornata, perché quando si ammazza il maiale il lavoro è tanto davvero: dal porzionare, al macinare, dall'insaccare all'imbustare per il resto dell'anno.
Quest'inverno però è stato un'inverno diverso dagli altri in Sardegna, e in particolare nel territorio di Desulo, una delle patrie del suino, in cui l'animale è ancora allevato allo stato semibrado, ed è stato tanto mai diverso dopo l'incursione di una task force sanitaria della Regione Sardegna, il 3 febbraio scorso, terminata con l'abbattimento di quasi quaranta capi ma soprattutto a seguito della reazione che gli allevatori, sostenuti dai pastori, hanno opposto ad un'altra mattanza, una settimana esatta dopo, mercoledì 10.
I cronisti locali raccontano ora di una vera e propria corsa alla macellazione familiare, iniziata già il 4 febbraio e proseguita sino ad oggi, in previsione di altri blitz, dai più ritenuti imminenti. Blitz più che certi, dopo le dichiarazioni rilasciate l'11 scorso all'Ansa da Alessandro De Martini, responsabile dell'Unità di Eradicazione della Peste Suina Africana: «Quando accaduto nelle campagne di Desulo», ha dichiarato De Martini, «non fermerà in alcun modo l'azione di depopolamento dei suini illegali che si trovano ancora in alcune aree della Sardegna».
A sostenere gli allevatori di suini e la loro economia è accorso anche il sindaco-pastore di Ollolai, l'avvocato Efisio Arbau, non nuovo alle prese di posizione in difesa delle comunità rurali barbaricine.
A detta di Arbau «la vicenda di Desulo mette a nudo l'inadeguatezza dell'ennesimo piano burocratico per eradicare la peste suina». «L'eliminazione del pascolo brado», ha proseguito Arbau, «è un'azione da attuare con modalità diverse da territorio a territorio, secondo le modalità di allevamento che si pratica nei territori. Ad Ollolai, come in quasi tutti i paesi della Sardegna, l'allevamento dei maiali è praticato ormai a stabulazione fissa, solitamente come attività collaterale alla principale, che è l'allevamento degli ovini. A Desulo, viceversa, l'allevamento è brado ed estensivo. Ed è l'unica fonte di reddito per gli allevatori».
È evidente che il pascolo brado sia una dimensione dell'allevamento che facilita la diffusione della peste suina. E allora, quale può essere la soluzione per accordare le esigenze del piano di eradicazione e la tutela degli interessi economici degli allevatori di Desulo? A detta di Arbau serve «un progetto che sia discusso ed approvato da tutti i soggetti: gli allevatori, i veterinari, gli amministratori locali, e la Regione, con la sua unità di progetto che esce dal palazzo e dai libri e si affaccia nel mondo reale».
L'idea è quella di adattare il piano alla necessità vitale di continuare ad allevare maiali in montagna. Quindi, ed in ordine, sostiene Arbau, bisogna «registrare tutti i maiali sani; abbattere quelli malati; trovare un accordo per controllare gli animali registrati periodicamente, anche mensilmente; consentire il pascolo brado in terreni determinati e controllati; e solo alla fine abbattere gli animali di chi non rispetta le regole concordate da tutti».
In questo modo i rischi per la diffusione della peste sarebbero limitati a zero e si consentirebbe a numerose famiglie di continuare a vivere del proprio lavoro. Peraltro, la Regione Sardegna tollera e fa tollerare a chi lavora e vive della terra il pascolo libero ed incontrollato dei cinghiali di sua proprietà (che provocano ingenti danni ai tappeti erbosi), con il solo controllo a campione fatto grazie alle compagnie di caccia grossa.
«Per fare questo, però», conclude Arbau, «serve che il presidente della Regione venga in Barbagia a stringere la mano ai porcari, e serve l'immediata sospensione degli inutili e dannosi blitz militari».
15 febbraio 2016