La misura è colma: i pastori grossetani non ce la fanno più e, allo stesso modo, non ce la fa più una buona parte dei pastori d'Italia, dalle Alpi liguri, alla Lessinia, dalle vallate del cuneese a larga parte della provincia di Isernia il lupo sta uccidendo il mondo pastorale. Si badi bene però: una mappatura esatta non esiste. Le zone colpite dalla presenza del predatore sono molte altre ancora, ma il peggio è che non esiste né esisterà mai (è molto più di una sensazione) un censimento, un computo reale della sua presenza nel nostro Paese, e della sua sempre maggiore diffusione. La gestione dell'"affare lupo", quella dell'"emergenza ibridi", i risarcimenti per le perdite dovute alle predazioni appaiono come aree grigie, torbide e impalpabili, dai contorni mai netti, come nei peggiori segreti d'Italia in cui entità ignote hanno tramato per anni. E che dopo decenni non hanno ancora trovato risposte.
Una cosa è certa però: la presenza del lupo nel nostro Paese è una macchina ben oliata; una macchina che con i progetti Medwolf e Ibriwolf appare funzionale agli interessi di alcuni soggetti, lontani dal mondo dei pastori o che – se sembrano vicini a quello – lo sono solo nell'apparenza. Non nella sostanza. Alcuni soggetti politici e delle amministrazioni locali di tanto in tanto hanno lanciato proclami a favore delle vittime di questa situazione, altri si sono detti al loro fianco. Poi sono spariti.
Ci sono state in passato predazioni ben più gravi di quella avvenuta venerdì scorso a Manciano ai danni della famiglia di Carmelo e Simone Masala: quindici pecore e un ariete riproduttore (4 mila euro il suo valore) sbranati, trenta capi feriti o dispersi, riduzione della resa lattea per buona parte dei quattrocento ovini che componevano il gregge, e un senso disumano di impotenza, dopo che altri tre attacchi avevano colpito lo stesso allevamento nelle ultime due settimane.
Un episodio che però – si badi bene – rischia di rappresentare l'ennesima e classica goccia capace di far traboccare il vaso.
A scendere in campo al fianco dei pastori, oltre le solite smancerie del passato, stavolta si è fatto avanti – con un'energia e una determinazione mai udite prima – il presidente grossetano della Cia, Enrico Rabazzi, che è anche vicepresidente regionale, e che incontrando i giornalisti locali non ha usato mezzi termini: «Pretendiamo», ha esordito Rabazzi, «la rimozione dei lupi dal nostro territorio. Non ci interessa quali metodi si vogliono adottare ma vogliamo che il lupo e gli ibridi spariscano, una volta per tutte, e se non si sapranno rimuovere con metodi "dolci" sottoscriviamo quelli cruenti!» «Se necessario», ha aggiunto il presidente provinciale della Cia, «siamo disposti ad assumerci le conseguenze penali di tutto ciò, ma ricordiamo quanto è scritto nella Costituzione della Repubblica Italiana, fondata sul diritto al lavoro». Ed una cosa è certa: che «non vogliamo più raccontare la cronaca di una strage annunciata».
Certo, che si tratti di lupi, e anche tanti, stavolta non è in dubbio: tutti i capi sbranati sono stati attaccati alla gola, ed è anche il comportamento dei cani a confermarlo: pastori da guardiania esperti e combattivi, che stavolta sono fuggiti a mezzo chilometro dal luogo dello scempio; un particolare che la dice lunga sul numero dei lupi in azione, che di certo era ben nutrito ed agguerrito.
Affermazioni forti, quelle di Rabazzi, al limite del codice penale, che fanno riflettere sulla gravità della situazione e sull'isolamento in cui i pastori, purtroppo, sono stati oramai lasciati, di fatto. «La politica», ha insistito Rabazzi, «deve scegliere con chi stare: o con i pastori o con gli ambientalisti. O con chi lavora o con chi dice sempre di no. O con chi dà valore al nostro territorio o con chi, stando dietro a una scrivania, fa il finto amante degli animali. Finto perché non si riesce a capire con quale criterio lupi ed ibridi avrebbero dei diritti superiori a quelli delle pecore, che possono essere sacrificate, salvo nel periodo pasquale, quando all'improvviso l'agnello assume un valore diverso, quasi a voler sempre e comunque dar contro alla categoria».
In sostanza il messaggio del responsabile Cia è rivolto alla politica, che con l'approssimarsi delle elezioni amministrative è chiamata a prendere una posizione. Una posizione chiara: o di qua o di là; una scelta a cui, secondo Rabazzi, sono chiamate anche le altre associazioni agricole. Il tempo dei convegni è finito: è arrivato quello di agire. Lo si era capito sin dalla riunione che i pastori hanno organizzato, in totale autonomia, a Saturnia, il 1° aprile scorso: un incontro acceso e determinato, in cui i pastori hanno lanciato un chiaro messaggio alle associazioni di categoria. Oggi un esponente di una di queste ha raccolto l'invito, facendolo suo: è giunto il tempo dell'azione, meglio certo se legale. Ma se così non fosse, arriverà la "giustizia fai da te". E l'impressione è che se ciò accadrà, e se nessun responsabile diretto verrà trovato, sarà Rabazzi il primo a risponderne in solido di fronte allo Stato. Per istigazione a delinquere, dal momento in cui il lupo è protetto. Fino all'inverosimile protetto.
Chissà se l'inerzia di chi dovrebbe decidere e mai ha sinora mosso un dito potrà essere smossa da uno scenario – non più tanto improbabile – e grave come questo.
La sensazione più difffusa, al di là della cronaca recente, è che si stia viaggiando in direzione di una riforma della pastorizia sulla cui strada ci si è avviati dal luglio del 2014, quando fu siglato il famigerato “Accordo per l'attuazione di interventi in materia di tutela del lupo” (sottoscritto da Coldiretti, Confagricoltura, Cia, Upi, Anci, Asl di Siena, Arezzo e Grosseto, Wwf, Legambiente Toscana, Italia Nostra e Lav). La sensazione è che in molti puntino ad una riconversione delle greggi dalla razza Sarda – prevalente in Toscana – alle razze da stalla, in primo luogo alle francesi Lacon: ne sarebbero felici in molti, dai commercianti di animali ai mangimisti, dai veterinari ai tecnici di settore. E persino molti amministratori pubblici, che con la riduzione dei cani da guardiania avrebbero un problema in meno sul fronte di quel turismo che oggi invade i pascoli pensando siano i prati di casa loro.
11 aprile 2016