Alea iacta est, il dado è tratto: il Bitto Storico diventa semplicemente "Storico". Perde il Suo nome ma non la storia gloriosa che lo circonda. I veri sconfitti di questa ingloriosa vicenda restano i produttori di un formaggio malamente ispirato allo Storico e i loro amici faccendieri. Un formaggio che continuerà, quello sì, a chiamarsi Bitto. O per meglio dire "Bitto Dop". Un formaggio liberamente ispirato a quello che per anni abbiamo chiamato il "vero Bitto della tradizione" e che, rispetto a quello, ha tre sostanziali distinzioni, ben inteso: tutte in chiave diminutiva. Perché il Dop non obbliga il produttore all'uso del latte di capra (fondamentale per la caratterizzazione di quello che chiamavamo Bitto storico e che d'ora in avanti chiameremo semplicemente Storico), decisivo per l'invecchiamento. E poi perché consente sia l'uso dei mangimi (e trattandosi di un formaggio d'alpe è tutto dire, ndr) che quello dei fermenti selezionati nella caseificazione (per i meno consapevoli, e con un bel po' di eufemismo, i fermenti selezionati garantiscono meno beghe nella pur breve stagionatura del Dop ma risultano antagonisti della biodiversità microbiologica, quindi tendono a standardizzare il gusto, ndr).
Dal punto di vista delle due produzioni, da sempre lontane mille miglia l'una l'altra, pur su territori contigui (su dodici alpeggi, tutt'attorno al paese di Gerola Alta, nella Valgerola, e oltre ancora, quello che d'ora in avanti chiameremo semplicemente Storico; nel resto della Valtellina, il Dop), la situazione rimarrà immutata. Le due realtà rimarranno tanto distinte quanto distanti per le tre radicali diversità su espresse: la prima intrisa di storia, l'altra che la storia neanche conosce, né tantomeno rappresenta.
Come accaduto per il Tocai Friulano, pur per vicende d'altro genere, ci abitueremo a chiamarlo Storico, e non più Bitto, ma resterà il formaggio dell'origine, l'originale maldestramente riprodotto da altri. A ben guardare però, quel che leggeremo sulle sue forme – la dicitura "Storico", accompagnata dal nome dell'alpeggio – significherà molto, moltissimo di più di qualsiasi altra cosa. Significherà la garanzia di una biodiversità, la certezza di una e mille differenze pur nella rigorosa metodologia di produzione. Differenze dovute alle tante e diverse erbe che compongono pascoli ricchi di storia (una storia simboleggiata dai calécc, le millenarie strutture in pietra che da sempre garantiscono la trasformazione "a caldo"), differenze per le razze rustiche che li brucano – la vera Bruna Alpina (vacca) e l'Orobica (capra) – differenze per le scelte e la mano di ogni singolo casaro. Firme d'autore le loro, firme di sapienza e di saggezza che non possono essere rapinate, quelle, perché tramandate di padre in figlio. Perché parte fondante e imprescindibile della storia.
Ci abitueremo così a leggere "solo" Storico su quelle forme, ma non smetteremo mai di chiamarlo Bitto. Continueremo a consumarne e poco, perché sazia come nessun altro formaggio al mondo. E sarà, domani più di adesso l'emblema del Grandi Formaggi, carico di significati umani e sociali, come solo "lui" sa essere. E carico di storia.
"Mangiare meno, mangiare meglio": nutrire il corpo e al tempo stesso lo spirito. Questo sarà lo Storico, il Leggendario, il Numero Uno dei Formaggi. Un faro nella nebbia di un settore – quello lattiero-caseario – che, più in generale, nella propria fascia bassa (o medio-bassa) di mercato è segnato ora – e si badi bene: non sono coincidenze – da una crisi epocale, e dalle più gravi truffe ai danni della salute dei consumatori (aflatossine). Se un mercato è allo sbando, quello è il mercato delle iperproduzioni, dei grandi numeri, del produttivismo industriale. Non quello della Qualità Reale. E della Storia.
La forbice tra il mercato del Buon Formaggio e il mercato dei formaggi più comuni, sempre più vili e sempre più sciatti, si allarga giorno dopo giorno, ormai, raggiungendo divergenze drammatiche. La parte buona del mercato si espande ora, pur mantenendo ancora piccoli numeri, numeri che potranno crescere in ragione delle richieste di mercato. E dell'intelligenza di allevatori che sapranno scegliere bene da che parte stare, se potranno (non di certo i frisonisti da 50 litri al giorno) e se vorranno. E così vedremo – è inevitabile – il buon Latte Nobile allargare il suo raggio d'azione, ed espandersi pian piano, da una regione all'altra, come già sta avvenendo. E così assisteremo – è solo questione di tempo – all'affermazione delle Classi di Qualità casearia (A1, A2, A3, B1, B2, B3, leggi qui), grazie a cui, finalmente, le reali differenze casearie, basate sull'alimentazione delle lattifere, sulla buona trasformazione del latte, sulla sapienza della stagionatura, potranno affermarsi agli occhi del consumatore.
Ad ognuno il proprio latte quindi, e ad ognuno il proprio formaggio, la propria salute, e la propria storia.
Allo Storico, formaggio in classe A1 assoluta, oggi e in futuro, la miglior Gloria.
9 maggio 2016
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