Tramonta la zootecnia bovina da latte. Coldiretti pensa al futuro e si butta sulla pastorizia

Pastorizia in Sardegna - foto Michele Arbau©
Pastorizia in Sardegna – foto Michele Arbau©

Li chiamano dossier, ne pubblicano a decine nell’arco dei dodici mesi e raramente hanno alla loro base – se non forse in rari casi – qualche studio di settore, bensì dati presi all’occorrenza – dalle Apa, dalle Ara e via dicendo – per confezionare azioni stampa: dai comunicati alle conferenze. Azioni necessarie per mantenere una posizione di dominio nell’ambito dei media. Sono decine di anni che Coldiretti ha capito quanto sia importante la comunicazione. E quanto mediamente impreparata sia la stampa nazionale – impreparata e compiacente – tanto da passare per buona ogni notizia, quale essa sia.

Per capire il predominio mediatico della principale confederazione agricola basta riflettere su un aspetto clamorosamente rilevante: non esiste trasmissione – tv o radio che sia – dedicata al mondo agricolo in cui gli organizzatori non invitino l’esperto della Coldiretti. E non esiste telegiornale che, trattando di agricoltura almeno una volta in ogni edizione, non faccia passare un servizio in cui proprio Coldiretti non dica la sua. In solitaria o prendendosi sempre la parte del prim’attore.

Crolla oramai il comparto delle bovine da latte (rappresentato sempre attraverso gli stereotipi delle grandi stalle o dei ricorrenti presidi al Brennero) ed ecco che gli infaticabili comunicatori coldirettiani si lanciano nel presentare l’ennesimo “fenomeno” con i soliti clamorosi toni di chi vuole dare a credere di sapere tutto ma che poi, a scavare un poco nei racconti fatti, non sa più di tanto.

Accade così che il mondo della pastorizia – cresciuto a vista d’occhio in questi ultimi anni anche o soprattutto per la crescente richiesta di carne ovina da parte della comunità islamica, venga ora descritto attraverso un caleidoscopio narrativo che propone decine di casi isolati come fossero esemplari: dai cosmetici e dai gelati a base di latte di pecora, ai pannelli isolanti per la bioedilizia, ai formaggi anticolesterolo (parlando dei semi di lino senza minimamente accennare al valore del pascolo, ndr.). Un po’ di clamore per presentare un raduno – il primo “Pecora Day – mercoledì scorso, “a venti anni dalla clonazione della pecora Doly”, come se la ricorrenza avesse qualcosa di buono in sé per dover essere ricordata, e celebrata.

Tra i dati consegnati alla stampa nei giorni scorsi, emerge quello di una popolazione ovina di 7,2 milioni di capi, cresciuta negli ultimi cinque anni di 200mila unità. Quale che sia il numero, e nonostante la grande enfasi con cui l’iniziativa è stata proposta, appare evidente che una gran parte dei problemi non ancora risolti non stiano troppo a cuore ai vertici coldirettiani, che in tutta l’attività mediatica dei giorni scorsi sul tema ben si sono guardati dal mensionarli. Problemi irrisolti e problemi che si fanno sempre più rilevanti, senza che nessuno si adoperi minimamente per contrastarli: dall’annosa questione-lupo (la più spinosa, per le chiare implicazioni animaliste che nessuno osa sfiorare) al revival dell’abigeato, operato spesso su larga scala oggi (spesso furti su commissione) e quasi mai per faide pastorali com’era in genere un tempo.

Sulla sempre più profonda distanza tra mondo cittadino e mondo pastorale si registrano poi una crescente intolleranza di larghi strati delle popolazioni urbane (leggi qui e qui), più per ignoranza che per ragioni concrete: la gente ha paura del diverso, e adduce il timore delle zecche, quello di malattie sconosciute, o semplicemente lo “sporco” che le pecore lascerebbero al loro passaggio nelle aree abitate. Le amministrazioni pubbliche dal canto loro, soprattutto quando sentono l’avversità della popolazione per i pastori, si orientano ad esercitare azioni di contrasto, dall’esasperare il peso della burocrazia all’innalzare le multe per infrazioni a volte solo presunte. Su tutto ciò, quello che doveva essere il primo “Pecora Day” ufficiale di Coldiretti è passato senza che nulla venisse neanche accennato.

Sarà che all’inizio di quello che appare un nuovo percorso preferiscono rimanere abbottonati, ma tant’è, la sensazione è che il profilo coldirettiano sulle questioni più rilevanti rimarrà assai basso. Chissà poi che, al tramontare definitivo del settore delle bovine da latte non corrisponda da parte di Coldiretti l’individuazione di un mercato alternativo in cui cimentati come presunti paladini, d’ora in avanti.

Ma i pastori – quelli veri – sono spiriti ribelli, difficilmente addomesticabili sotto una bandiera. Spiriti liberi, è evidente, e talmente liberi che raramente – e purtroppo – riescono a legare tra loro stessi. Sarà assai difficile – quasi impossibile – anche per la potenza della Coldiretti, metterli sotto una bandiera. Di questo passo al Brennero rischiamo di vederci qualche decina di dirigenti in doppiopetto e poi ancora un po’ di comparse non si  sa bene ingaggiate dove.

23 maggio 2016