I produttori di Bitto storico, “colpevoli” di essere fedeli ad un metodo di produzione millenario – e responsabili di rivendicare da vent’anni il legame tra il territorio di origine – per l’appunto storico – e la loro denominazione saranno forse costretti – dalle normative, dal sistema di protezione e dall’incombente rischio delle multe – a trovare un altro nome per il loro formaggio.
L’ammonimento che ormai avanza strisciante – ma che è stato già caldeggiato sotto forma di consiglio da qualche politico sedicente amico – sembra dire “guai ad usare il nome di una Dop, anche se era il tuo in origine”. Dopotutto, il disciplinare voluto dalle istituzioni asservite alle lobby politico-industriali tutela non i detentori originari bensì chi si è impossessato della denominazione, chi ha cambiato – stravolgendola – la metodologia produttiva (mangimi in alpeggio, fermenti standardizza[n]ti in caseificio e nessun obbligo del latte di capra), non chi quel formaggio continua a farlo come da sempre va fatto.
I depositari della ricetta originaria, gli eroici custodi della montagna, dei suoi calecc, della capra di razza Orobica, della vacca Bruna Alpina originale, piegheranno quindi forse (o probabilmente) il capo, ma se anche questo dovesse accadere non saranno da soli. Tutt’altro. Più appare concreta la prospettiva della variazione del nome, più la gente, le associazioni, i consumatori coscienti di questa situazione si stringono attorno ai Ribelli della Val Gerola.
“È una vergogna non poter chiamare più col suo nome il Bitto”, hanno detto e dicono in molti, convenuti al centro del Bitto di Gerola Alta già il 7 maggio (incontro organizzato dall’associazione transfrontaliera AMaMont, leggi qui) e più di recente, giovedì scorso 23 giugno, nello stesso luogo, che non per nulla vien chiamato amichevolmente ma con il massimo rispetto il “Tempio del Bitto”. Gli ultimi, ma solo in ordine di tempo, a salire a Gerola – quattro giorni fa – sono stati i rappresentanti di varie associazioni locali, una delegazione di Slow Food capeggiata da Piero Sardo, i produttori storici e i loro mentori, Paolo Ciapparelli, Gino Cattaneo e molti altri ancora.
“Le condizioni per evitare il cambio del nome” (che diventerebbe operativo da settembre, ndr) – è quanto emerso dall’incontro – “sono rappresentate da una convergenza delle istituzioni locali (Provincia e Comunità montane, ndr), con l’impostazione emersa dagli incontri di queste settimane in vista di una interlocuzione ancora possibile con la Regione Lombardia e con il Ministero delle politiche agricole”.
Nel ricostruire la vicenda che ha portato a questa situazione del nonsenso, andrà impugnato con forza l’errore commesso in sede di istituzione della Dop – e andrà se possibile sanato – puntando al riconoscimento ufficiale del Bitto storico, con le proprie regole di produzione, entro un’area che non può essere estesa a tutta la Valtellina. Andrà corretta, tanto per cominciare, l’arbitraria limitazione della percentuale di latte caprino aggiunto (10%) nella produzione del Bitto Dop, riconoscendo che esso è elemento di caratterizzazione positivo e caratterizzante il formaggio Bitto.
Parallelamente all’azione di “risarcimento giuridico” non potrà non essere riconosciuta dalle istituzioni la necessita di sostenere programmi di valorizzazione del Bitto storico quale bene patrimoniale importante per lo sviluppo del turismo sostenibile, della cultura e dell’identità locali. In tanti anni, pur, non avendo ricevuto alcun sostegno dalle istituzioni, il Bitto storico ha promosso valori di interesse collettivo e territoriale, svolgendo funzioni che vanno ben al di là della commercializzazione di un prodotto caseario.
Queste attività, d’ora in avanti, dovranno ricevere – nelle forme e nei modi opportuni – il meritato sostegno pubblico. In assenza di concreti elementi di novità su entrambi i versanti, i produttori storici si vedranno costretti a prendere atto in via definitiva della mancanza di reale volontà politica e dovranno tutelarsi sia giuridicamente che economicamente adottando una nuova denominazione per il loro glorioso prodotto.
27 giugno 2016
Nota per i lettori – A dispetto della sua consueta chiusura estiva (luglio e agosto), la redazione di Qualeformaggio non esclude di ritornare sulla vicenda del Bitto storico ancor prima di settembre, qualora ce ne fossero le condizioni e le necessità, al fine di tenere informati i propri lettori, siano essi consumatori consapevoli, produttori rurali o semplici appassionati. Manteniamo vivo il sostegno al Bitto storico e impegnamoci tutti a divulgare le notizie che lo riguardano. Grazie,
La Redazione di Qualeformaggio.it
Le foto del presente articolo sono di Michele Corti© di www.ruralpini.it