Dopo anni di tentativi gestiti non sempre in maniera brillante dalla gran parte dei suoi (pochi) protagonisti, il mercato del latte italiano di qualità reale (erba e/o fieni polifiti, uso marginale di concentrati, no ogm, etc.) tenta di trovare una sua connotazione in grado di affermarsi agli occhi del pubblico più attento. Si tratta di un passaggio critico, in cui a fronte di una richiesta crescente, l'offerta si rivela ancora sottodimensionata, nonostante una (seppur minima) parte degli allevatori dovrebbe poter vedere nella riconversione da intensivo ad estensivo l'ultima ciambella di salvataggio possibile, dopo la fine del regime delle quote latte.
Ma le resistenze ideologiche, ben inculcate per decenni tra gli allevatori dai sostenitori delle produzioni spinte, non si dimostrano facili da superare. Da una parte la diffidenza è imperante, dall'altra le capacità di incidere concretamente sul mercato pressoché nulla. Chi si batte – spesso più a parole che nei fatti – sul fronte della qualità ha ormai dimostrato di non saper andare oltre il compitino, ripetuto a mò di litania, e spesso mestamente portato a platee sparute di allevatori tra cui il dissenso e le lamentazioni non lasciano spazio che in rarissimi casi alla volontà di crederci. E di provarci.
Differenze (di prezzo e qualità) segnate dal clima
A ciò va aggiunto che per la sua conformazione geografica, l'Italia, estendendosi da nord a sud lungo più di 1.600 km (ce ne sono meno tra l'Alto Adige e Goteborg, in Svezia, di quanti lo separino da Pachino, ndr) e avendo un'orografia assai varia (pianura, collina, montagna) e difforme, la nostra nazione mal si presta alla produzione di un latte che – a parità di modello produttivo – possa somigliare ad altri latti, se non all'interno di realtà regionali o interregionali consimili. Da qui ne deriva anche una situazione gestionale e di investimenti assai differente, via via che dal nord scendiamo al sud, con temperature, precipitazioni, territori, coltivazioni che – fatte salve talune eccezioni – portano i costi delle produzioni meridionali ad essere assai più alti (alimentazione animale dipendente da andamento climatico, disponibilità idrica, etc.) di quelle del nord Italia e del resto d'Europa.
La tendenza del mercato vede quindi al nord alcune realtà irregolarmente distribuite che – pur agendo senza alcun coordinamento e fuori da qualsivoglia progetto unitario di marketing – tendono naturalmente a seguire (e chissà ad unirsi in futuro, quantomeno idealmente) al movimento dei latti del fieno e dell'erba che da anni per culture "regionali" (Baviera, Tirolo; Svizzera; Regno Unito; etc.) o per varie altre condizioni locali (Francia, Belgio; etc.) si va evidenziando nell'Europa centrale, laddove in essa è possibile ricondurre idealmente la fascia alpina e subalpina e la Pianura Padana, per quanto con un loro specifico clima sub-continentale.
Il recente caso del movimento che si è andato delineando nel padovano (Latte Regis; ne abbiamo parlato qui nell'aprile scorso) che a quanto pare attende fondi comunitari per decollare, assieme ad altre piccole realtà isolate già in produzione (nelle province di Bologna, Reggio Emilia, Parma) e alla più articolata realtà piemontese (Lait Real, anch'essa in produzione ma non ancora con un progetto di marketing, ndr) porta a intravedere proprio nella principale regione del nord-ovest la capofila ideale di una possibile realtà aggregativa del nord Italia, che nulla avrebbe da invidiare in quanto a qualità alle migliori produzioni del centro Europa.
L'esempio di Cascina Roseleto
E proprio al latte piemontese dell'erba e del fieno è dedicato uno degli appuntamenti più interessanti che l'ormai prossimo Salone del Gusto di Torino ha messo in calendario; al suo centro, le attività di Cascina Roseleto e dei produttori legati al progetto "Lait Real". Nella presentazione dell'evento, al retorico quesito di chi ancora si chieda se "il latte sia tutto uguale", segue un'altrettanto scontata (per noi e per chi di voi lettori ci segue con più attenzione, ndr) risposta: "Sì, il latte è apparentemente tutto uguale, o almeno così vuole farci credere chi lo commercializza a livello industriale".
"Se si leggono le etichette del latte alimentare", continua la presentazione al convegno, "le differenze di composizione sono minime, le indicazioni circa l’origine scarne e non è riportata alcuna informazione né sul sistema di allevamento degli animali che lo producono, né sulla loro alimentazione". Eppure basta poco per capire che le differenze possono essere enormi. Basta osservare o meglio ancora degustare una sola volta il latte proveniente da animali al pascolo per accorgersi che il latte non è solo bianco, ma tende piuttosto al giallo, e il gusto è completamente diverso. "Da che cosa dipendono le differenze?", si chiede ancora il testo di lancio dell'evento. Per ottenere una risposta a queste e ad altre domande (e per saggiare i latti a confronto) basterà partecipare all'incontro, intitolato (titolo provvisorio) "Il vero latte fresco: dall'erba allo scaffale il piacere del gusto", in programma a Torino domenica 25 settembre alle 10:30 presso lo Spazio Lavazza di Piazza Valdo Fusi.
Chi parteciperà potrà scoprire quanto e in cosa un latte e i suoi derivati possono essere diversi da altri latti e derivati, quali modelli produttivi alternativi a quello industriale esistano, e come riescono a valorizzare le diversità. Quali differenze di gusto e quali differenze dei valori nutrizionali tra le realtà intensive e quelle estensive e… molto altro ancora.
L'accesso alla conferenza è pubblico e gratuito e rappresenta una tappa ed un lavoro del Gruppo Biodiversità della Condotta di Torino. Nutrito e prestigioso il tavolo dei relatori:
– Giampiero Lombardi (Università di Torino, DISAFA – Grassland Ecology and Management)
– Massimiliano Probo (Università di Torino, DISAFA – Grassland Ecology and Management)
– Luca Maria Battaglini (Università di Torino, DISAFA Produzioni Animali)
– Lucia Decastelli (Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta)
– Alberto Bellio (Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta)
– Giovanni Peira (Università di Torino, Dipartimento di Management)
– Damiano Cortese (Università di Torino, Dipartimento di Management; UNISG)
– Claudia Masera (titolare di Cascina Roseleto; tra le aziende piemontesi, quella che è riuscita a penetrare il mercato di Torino)
– Miguel Galina (Universidad Nacional Autónoma de México; presidente Federación de Ovejeros y Cabreros de América Latina; Latte Nobile Messico)
– Paola Durelli (dietista, Ospedale San Giovanni Bosco, Torino)
Modera: Licia Granello, giornalista del quotidiano La Repubblica; critica enogastronomica
Al termine del dibattito, una degustazione di base di latte, yogurt, primosale, tomini lattici (qui nella foto qui; verranno proposti al naturale, al verde e rossi), toma semistagionata e gelato. Tutti prodotti, manco a farlo apposta, da Cascina Roseleto.
I posti a sedere sono limitati; gli interessati arrivino con il dovuto anticipo.
12 settembre 2016