Lait Real: il latte nobile ”alla piemontese” va per la sua strada

Una vacca di Cascina Roseleto bruca la sua erba, libera nei pascoli aziendali. La foto, attualmente ancora presente sul sito dell'ALNI, verrà presto rimossa dallo stesso - foto di Cascina Roseleto© “Cascina Roseleto e l’Università di Torino lasciano il Latte Nobile”. Titolava così, giovedì scorso, il comunicato stampa con cui l’azienda di Villastellone, nel torinese, annunciava la sua uscita dalla realtà ideata nel 2009 da Roberto Rubino dell’ANFoSC (Associazione Nazionale Formaggi Sotto il Cielo). Una realtà che già nel 2015 aveva perso pezzi importanti, a seguito dell’uscita del gruppo storico di allevatori con cui, nel 2010, l’avventura per un “latte migliore” era stata avviata (produttori che hanno poi dato vita al Consorzio del Latte Nobile, che oggi produce il Latte dell’Appennino Campano e i suoi derivati).

Oggi come allora, i motivi profondi dello “strappo” non sono del tutto evidenti, se non ci si accontenta delle frasi di circostanza pronunciate dalla titolare dell’azienda piemontese, Claudia Masera, attraverso le quali si percepisce chiara la drammatica distanza tra un’Italia settentrionale in grado di garantire il pascolamento (“225 giorni nel 2016” per le vacche di Cascina Roseleto) e un Italia centro-meridionale storicamente vocata sì alla pastorizia ovicaprina estensiva, ma che le vacche (se si escludono le parche Podoliche, da carne, caciocavallo e manteca) è abituata a tenerle chiuse, in stalla.

Una foto dell'autunno 2016, in cui Claudia Masera posa con una bottiglia del suo ottimo latte, ancora con etichetta Latte Nobile. A quando il nuovo nome che accompagnerà i suoi prodotti sul mercato? - foto Cascina Roseleto©«Purtroppo», spiega l’allevatrice piemontese nel suo comunicato, «condizioni pedoclimatiche molto differenti tra Nord e Centro-Sud e diverse culture agro-zootecniche hanno portato ad una realtà aggregata (quella dell’ALNI, Associazione Latte Nobile Italiano, ndr) con una duplice anima, che mai avrebbe potuto procedere all’unisono verso obiettivi realmente condivisi. Tantomeno adesso che si profilano ulteriori modifiche al disciplinare che lo allontaneranno ulteriormente dal nostro modo di produrre e di agire».

Ed è proprio sul suo regolamento di produzione che si concentrerà d’ora in avanti l’attenzione di quanti abbiano davvero interesse a capire; un regolamento che è in procinto di essere modificato, e che – ad oggi – appare come un libro ancora in fase di stampa, per leggere il quale bisognerà attendere la sua pubblicazione, che – a quanto ci risulta – non dovrebbe tardare più di tanto.

Fare ipotesi ora su scenari futuri sarebbe un po’ azzardato, anche se è lecito pensare che il Nord guardi naturalmente con più “simpatia” alle affinità che stanno emergendo con i produttori del fieno di Francia e Inghilterra, oltre che con quelli dell’Austria e della Baviera. Tutti territori questi in cui, negli ultimi tre anni e sino a poche settimane fa, si sono concretizzate varie e stimabili realtà, in grado di offrire al mercato latti di qualità realmente superiore a qualsiasi altro latte presente oggi sul mercato.

Il Prof. Giampiero Lombardi, con la giornalista Licia Granello della Repubblica, nel corso di un convegno sul Latte Nobile del Piemonte (Lait Real) In questa direzione si inquadrerebbero le dimissioni del Prof. Giampiero Lombardi dell’Università degli Studi di Torino (Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari) dal Comitato Scientifico dell’ALNI, avvenute due settimane fa e quelle – di otto mesi fa – del Prof. Andrea Cavallero, già docente presso lo stesso dipartimento del medesimo ateneo e già vicepresidente del Comitato Scientifico dell’ALNI.

Agli amanti del buon latte non resta altro da sperare che l’auspicio espresso da Claudia Masera prenda forma: vale a dire che proprio da questa situazione possa scaturire un progetto fondato sul pascolamento, sull’erba e sulle buone pratiche della fienagione, oltre che sul benessere animale reale. Le potenzialità in Piemonte ci sono e sono evidenti; i produttori anche. Nel 2014 il progetto Lait Real sviluppato dall’Università di Torino partendo proprio dal modello Latte Nobile aveva portato a risultati di assoluta eccellenza, con latti caratterizzati da rapporti Omega 6/Omega 3 di poco superiori ad 1, laddove il Latte Nobile, come cita il sito web dell’associazione, si attesta “al di sotto di 5”(1).

In questo senso c’è ora da sperare che quanto espresso da Claudia Masera a suggello del suo comunicato stampa prenda presto forma: «Auspichiamo per noi stessi», ha concluso l’imprenditrice piemontese, «…di riuscire a lanciare quanto prima quello che per noi e per una crescente parte del mercato è e deve rimanere il latte di riferimento in termini organolettici e nutraceutici(2). Un latte che mantenga il suo legame con il proprio territorio e con le erbe del pascolo, che sia diverso nelle sue mille sfumature, giorno dopo giorno, e che nutra al meglio i consumatori più esigenti senza dover diventare un genere di lusso».

20 marzo 2017 

(1) ma a 4,4-4,6 – lo abbiamo verificato con le analisi eseguite per nostro conto dall’IZSLER di Brescia – ci sono ad esempio latti come il Granarolo bio e altri latti industriali in genere (clicca qui e vedi i dati nella tabella in fondo all’articolo) 

(2) dalle analisi di laboratorio effettuate dall’IZSLER di Brescia nel settembre 2016 per conto della nostra Redazione (clicca qui, e vedi la tabella in fondo all’articolo), il latte di cascina Roseleto è risultato migliore del celebrato biodinamico bavarese Berchtesgadener in quanto a trans isomeri e CLA