Conferenza stampa, martedì mattina 4 aprile, del consigliere del movimento La Base, Gaetano Ledda e del suo leader Efisio Arbau, l'avvocato-pastore, sindaco di Ollolai. I due hanno voluto incontrare i giornalisti sardi sulla questione del prezzo del latte ovino, rilanciando la sfida alle industrie, e invitandole a firmare quello che sarebbe un accordo storico, davvero senza precedenti.
Un accordo collettivo sul prezzo minimo del latte, che coinvolgerebbe le associazioni agricole e le cooperative, oltre alle industrie. Ed è questa la "conditio sine qua non", la vera e propria spina dorsale dell’emendamento presentato dallo stesso Ledda e approvato il 27 marzo all’unanimità in Consiglio Regionale con il varo della Legge di Stabilità 2017. Una condizione che vincola lo stanziamento di 14 milioni di euro destinati al bando per gli indigenti alla stipula dell’intesa sul prezzo del latte in Sardegna.
Il buon latte?
Non basta sapere dov'è stato fatto e confezionato. Serve consapevolezza su com'è stato prodotto. Su cosa abbiano mangiato gli animali e su che vita abbiano vissuto.
In Piemonte c'è chi il latte ha ripreso a farlo come una volta: con il pascolo e il buon fieno polifita.
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"Senza un accordo collettivo le risorse della Finanziaria 2017 non potranno quindi essere spese e "rimarranno nelle casse regionali" in quanto, hanno sottolineato Ledda e Arbau, "il bando sul ritiro del surplus di Pecorino Romano sarebbe illegittimo".
Nulla di straordinario, a sentire Arbau, perché «la politica ha fatto il suo dovere, seppure in ritardo. L'idea è semplice ed attuabile grazie alle disposizioni previste dall'Unione Europea sul pacchetto latte: subordinare, per la prima volta in Sardegna, la misura pubblica ad una contrattazione collettiva. E farlo puntando a sostenere una parte che non viene remunerata – che è quella più debole – cioè i pastori, che possono fare massa critica attraverso le loro organizzazioni professionali».
Auspicando una soluzione positiva della vicenda, si cominciano a fare due legittimi calcoli: secondo una prima stima, ad un prezzo di vendita di 6€ al chilogrammo potrebbero essere ritirate dal mercato circa 3mila tonnellate di formaggio. Sarebbe davvero un bel colpo alle giacenze del prodotto, certo, ma oltre ad esso è evidente la necessità di una programmazione produttiva fatta anche di diversificazione, che abbia in sé anche le necessarie armi del marketing. Sarà indispensabile per non trovarci ancora una volta a rincorrere le emergenze, tamponando le falle.
10 aprile 2017