Si torna a parlare di “Re dei formaggi” italiani parlando di Parmigiano Reggiano. A farlo, a pieno titolo, è Cooperazione.ch, il sito web della Coop Suisse, firma della Gdo elvetica che in più occasioni e da anni ha dimostrato di essere vicina sia ai produttori rurali che ai propri consumatori. Per davvero vicina, e non solo a parole.
L’occasione per parlare del miglior Parmigiano Reggiano possibile l’ha data il lancio di una vendita speciale di Parmigiano Reggiano “Gemma – Bio Suisse”, che terminerà sabato prossimo 13 maggio. Dietro le due denominazioni aggiuntive sta tutto il segreto della formula voluta dal mercato svizzero e garantita dalla Fibl (Forschungs Institut für die Biologisch Landwirtschaft), che ha richiesto al produttore – l’Azienda Agricola Ciaolatte di Noceto, nel parmense – di aderire ad un rigoroso disciplinare di produzione, che – solo per dirne una – obbliga al pascolamento e ammette fieno polifita locale nella sola stagione avversa. E che non tollera integrazioni (cereali e proteine vegetali) superiore al 10%.
Nel passaggio dell’articolo in cui si parla dell’essenza distintiva dell’azienda, del suo prodotto e delle sue scelte, si legge: “Mucche al pascolo: quello che per noi in Svizzera è tradizione, nel Parmense è un’eccezione”, che oltre a far pensare all’alta qualità di un produttore suona anche e purtroppo come un bello scorno per il consorzio del formaggio italiano più famoso nel mondo. E per la gran parte dei produttori (quelli che l’integrazione l’hanno portata anche al 40% della razione, puntando alle quantità).
L’interessante articolo passa poi in rassegna ogni aspetto cruciale della “ricetta” indicata e garantita da Fibl: dalla stalla aperta, costruita (prevalentemente) in legno ai pascoli che la circondano, alle dimensioni delle cuccette. Ben altra cosa rispetto al benessere animale di cui in questi giorni molte aziende italiane si stanno raccontando, spesso con eccessiva enfasi autocelebrativa, e con assai meno sostanza.
“Caseificare il Parmigiano Reggiano BioSuisse”, racconta Cooperazione – “comporta anche una minore produzione di latte”. «Se prima una vacca forniva 9100 litri all’anno, con il sistema biologico svizzero ne produce solo 6500. Questo perché riceve il 10% anziché il 40% di concentrato. Il resto è erba e fieno» spiega il 22enne Filippo Peveri, responsabile della stalla, che con i fratelli Serena (29) e Dario (30) è titolare dell’azienda.
Oltre a parlare dei tre giovani imprenditori, l’articolo rende merito all’opera dei loro genitori – Afra e Roberto – che nel 2000 ottennero la certificazione “bio” dall’Unione Europea. «Negli anni ’90», sottolinea Roberto, «ho visto lo stato disastroso nelle coltivazioni della frutta esotica in Sudafrica, ho seguito gli scandali dell’atrazina in Europa; ed è arrivata la “mucca pazza”: eventi che mi hanno fatto riflettere e mi hanno dato lo spunto per la conversione».
L’articolo, parla anche della difficoltà degli italiani ad accettare formaggi più gialli del consueto (le industrie ci hanno fatto un bel lavaggio della testa, ndr) e spiega che quella differenza cromatica deriva dai carotenoidi presenti nell’erba (non nel mais usato dagli intensivisti), alludendo all’utilità di quella sostanza nutraceutica e auspicando che i consumatori svizzeri abbiano idee più chiare rispetto ai nostri.
Per chi voglia leggere l’articolo (in lingua italiana) nella sua versione integrale, basterà cliccare qui.
8 maggio 2017