A volte viene da pensare che l’Italia sia il Paese dei voltafaccia, e dei voltagabbana. Ce lo hanno insegnato certi politici, col loro saltare senza colpo ferire da un capo all’altro dello schieramento, e come se credibilità, serietà e coerenza fossero accessori di secondaria importanza, essi non sembrano patire ripercussioni negative. Anzi… pare quasi che il loro “vendersi” a questo o a quel nuovo “ideale” venga apprezzato più di ogni altra cosa.
Ispirandosi a certi modelli, buona parte di un popolo più o meno apprezzabile salta così da un’estremità all’altra del proprio operare senza che nessuno se ne curi. Almeno apparentemente. Ma quando a farlo è un opinionista, un giornalista che sino a ieri ha fatto della critica alla perdita delle identità gastronomiche una delle proprie bandiere, allora dissimulare le evidenze diventa opera assai ardita.
Allo svizzero Attilio Scotti – collaboratore di varie testate, dalLa Provincia di Sondrio, a Enopress, dalla Rivista d’Enogastronomia, allLa Voce dell’Accademia del Pizzocchero – giorni orsono ad esempio, è capitato di scrivere (sul sito valtellinese Vaol.it, Valtellina On Line) un articolo in totale contraddizione con quanto da lui stesso affermato e reiterato per anni e sino a qualche mese fa in merito alla querelle sul Bitto storico.
Non cercatelo oggi dalla parte dei protagonisti più autentici (memorabili i suoi interventi alle conferenze dei “duri e puri” della tradizione, ndr), perché non lo trovereste più là. E se proprio lo volete scovare, basterà che vi rivolgiate esattamente dalla parte opposta. Una parte con cui si è da poco schierato senza batter ciglio, incurante delle sue stesse affermazioni sinora pubblicate sul web, e non solo (come dicevano i latini: “scripta manent”).
Nell’articolo apparso su Vaol.it il 9 novembre scorso (intitolato “Latteria di Delebio, 30 anni di attività nel segno della tradizione”) Scotti, parlando di Bitto, asserisce che “questo grande formaggio italiano è, purtroppo, per cause non innescate dal Consorzio Tutela Formaggio Bitto & Casera, al centro di una ‘querelle’ che dura ormai da circa quindici anni ed alimentata dalla Associazione Produttori Valli del Bitto della Val Gerola: sfociata ultimamente in una clamorosa sanzione pecuniara da parte del Ministero delle Politiche agricole che ha colpito questa associazione diretta da Paolo Chiapparelli (Presidio Slow Food)”.
Letto questo, basterà andare ad un’altra pagina dello stesso sito per prendere atto delle posizioni che lo stesso Scotti aveva (quelle che ha sempre avuto in passato) sulla medesima questione: “E mentre i produttori storici Valli del Bitto vanno diritti ed uniti verso il ricorso in sede comunitaria”, raccontava l’anno scorso il giornalista svizzero, “il Consorzio Tutela del Formaggio Valtellina Bitto & Casera tace, come tacciono tutti in Valtellina, dalle istituzioni agli Enti preposti complice anche la stampa locale e nazionale che non dedica neanche una riga a questa Bitto Story che porterà inevitabilmente ripercussioni negative nel mondo delle Dop e sul piano della credibilità e dell’immagine… Ora scoppia il caso Bitto, il mitico “formaggio perenne”, famoso in tutto il mondo. In breve: la querelle ed il motivo del contendere. Da una parte l’Associazione Produttori Valli del Bitto da anni si batte affinché la produzione artigianale di questo formaggio venga rispettata nella sua totalità, e che in alpeggio non vengano somministrate agli animali che producono il latte nessun tipo di mangime e che nella lavorazione del formaggio non siano presenti i fermenti, solo così si può arrivare per il Bitto ad una straordinaria attitudine all’invecchiamento ed a quel sapore inconfondibile che lo ha reso famoso e chiede al Ministero una sottodenominazione di indicazione geografica all’interno della Dop”.
Una vera e (apparentemente) immotivata conversione del giornalista alle ragioni del Consorzio, all’interno di un articolo che decanta i meriti della Latteria di Delebio, e che ha colpito molti operatori e appassionati attenti alle vicende di quel formaggio d’alpe. Una conversione che colpisce tanto quanto la presenza, sulla stessa pagina in cui l’articolo è apparso, della pubblicità della stessa Latteria. Coincidenze o concomitanze che siano, queste evidenze rischiano di offuscare – quantomeno in Valtellina – la penna di un giornalista apprezzato da tempo. Un giornalista che, è interessante notare, ha di recente avviato una collaborazione con il portale newsfood.com
In una paginetta di presentazione della rubrica che è appena andato a gestire per quel sito , il giornalista è accolto dal direttore responsabile Giuseppe Danielli che ha per lui parole toccanti (“Sottoscrivo apertamente il “Patto Etico” e siamo onorati di essere stati scelti da Attilio Scotti, amico e consigliere editoriale, oltre che indiscusso professionista enogastronomico”), anche se le affermazioni che più lasciano il segno sono quelle dello stesso Scotti, che ci tiene a rassicurare i suoi lettori sulla trasparenza del suo operato: “Non sono a libro paga di nessuno”, afferma lo svizzero, “mi diverto, ho un piccolo ranch con un bellissimo cavallo stallone arabo, delle galline e tante erbe aromatiche che uso in cucina, nella mia cucina, perché la mia casa ha per epicentro la cucina, il resto è optional”… “Sottoscrivo con voi “un patto etico” raccontando fatti & misfatti dell’enogastronomia italiana, senza peli sulla lingua”.
Noi, che non abbiamo mai sentito il bisogno di affermare di non essere nel libro paga di alcuno, ci accontentiamo di rimanere fedeli alle nostre stesse scelte di un tempo. Che sono quelle del cuore. E della coerenza.
14 novembre 2009