
Dopo il giornalista voltagabbana, il ministro che non sa. E dopo il ministro il sindaco che spara contro tutti, e quello che cerca di far ragionare chi non ragiona. E dopo i sindaci, il sedicente esperto, che se ne frega delle origini del prodotto. E della sua storia. Passano i mesi, passano gli anni, e di Bitto si discute , si polemizza, e si parla, spesso a sproposito. Anche se a farlo son soggetti che dovrebbero saperne molto più di altri.
Dopo le super-multe ministeriali, comminate a chi il Bitto lo fa nel pieno rispetto della tradizione e nei luoghi di produzione originari (multe a difesa della non-tradizionalità del Bitto Dop), è stato Luca Zaia in persona, a sparlare di Bitto, definendo le modifiche del disciplinare «tese a una maggiore puntualizzazione sulle tecniche produttive artigianali» e in grado di dare «una fotografia corretta della zona di produzione».
Come se il Bitto multato non fosse quello sacrosanto delle zone d’origine di sempre, in Val Gerola. Come se in esso non si usasse il latte di capra che si è sempre usato. Come se quei caricatori d’alpe non mantenessero vivo il saggio pascolo turnato. In barba a tutto e a tutti, ecco il revisionismo del cacio prendere forma negli interessi meschini del primo, nella leggerezza del secondo, nella gelosia del terzo, nei limiti del quarto.
Come in un grottesco teatrino, c’è chi la racconta per interesse e chi dice come la vede, pur avendo la vista corta o distorta. O chi la vede da una prospettiva incompleta, piccola e limitata, come nel caso del sindaco di Albaredo per San Marco, Antonella Furlini, che – forse per la giovane età o per inesperienza (è stata eletta nel giugno scorso), o perché influenzata dal livore di chi l’ha preceduta – ha deciso di sparare a zero a destra e a manca persino su ricercatori e studiosi che da anni sono impegnati a valorizzare il Bitto storico, andando ora incontro (non ce ne meraviglieremmo) a delle sacrosante querele per diffamazione.
Per chi si fosse chiesto, in questo gran bailamme se “ci sarà mai un giorno qualcuno in grado di dirci come stanno i fatti?”, ecco che arriva oggi, finalmente, l’intervento più obiettivo, completo e approfondito che ci si potesse aspettare, meritoriamente pubblicato martedì scorso dal quotidiano valtellinese La Gazzetta di Sondrio.
Un intervento che arriva dal sindaco di Gerola Alta, Fabio Acquistapace, che, in carica dal 2003, è da sempre a fianco dei produttori storici e delle tradizioni e della cultura locale. Il sindaco del paese nella cui valle scorre il torrente Bitto. Il sindaco che sa quanto ingiusto sia che i produttori del vero Bitto della tradizione non possano più marchiare il loro Bitto come “Bitto”, e che per difendere il loro prodotto, ostinandosi a chiamarlo con il loro nome, sono andati incontro alle multe del Mipaaf, comminate da un sistema (il re è nudo, ndr) – che non tutela – è evidente! – la tradizione bensì gli interessi dell’agrobusiness e delle lobby.
Per chi abbia a cuore di sapere come stanno realmente le cose, in questa annosa vicenda, quella di Fabio Acqistapace è una circostanziata, esatta e inattaccabile testimonianza, da non mancare di leggere, semplicemente cliccando qui.
Per quanti volessero approfondire anche sulle altre vicende recenti relative al Bitto storico, ecco altri link utili:
L’Europa modifica il disciplinare del Bitto
La “guerra” del Bitto ora divide le sue valli
Bitto, Albaredo va dal’avvocato
Bitto: l’Onaf da che parte sta
13 dicembre 2009