Si scrive Dop. Si legge appiattimento delle produzioni d’eccellenza

di Michele Corti – Mentre persiste l’incresciosa situazione per cui il formaggio degli alpeggi delle Valli del Bitto (quello uguale al Bitto di una volta) non può essere chiamato “Bitto”, capita che talvolta il Bitto Dop assomigli assai poco al Bitto .

In ossequio al disciplinare della Dop, il Bitto Dop dovrebbe essere contrassegnato da una pasta compatta ma con “presenza di occhiatura rada ad occhio di pernice”. Purtroppo però, l’uso estensivo dei fermenti selezionati che “addomesticano” la lavorazione porta spesso al risultato mostrato nella foto qui sotto.

Abbiamo voluto riportarla perché troppo spesso il Bitto Dop ha questo aspetto che non è assolutamente “tipico” del Bitto ma di altri pregiati formaggi grassi alpini. Due nomi possono bastare: Gruyere e Beaufort. Il fatto è che i formaggi che nascono del tutto o quasi sprovvisti di occhiatura possono essere eccellenti e ricchi di note sensoriali, quelli che sono caratterizzati da un’occhiatura caratteristica no.

La caratteristica della minuta occhiatura è sempre stata sottolineata dagli autori che si sono occupato del Bitto. Di seguito due significativi esempi degli anni ’70 del secolo scorso: “la pasta presenta un’occhiatura minuta e dei puntini bianchi, che non è una malattia ma la garanzia di una raggiunta eccellenza”  (G. Maffioli,  Guida ai formaggi d’Italia, Torino, Dellavalle, 1971, p. 83) e “la pasta è … con occhi piccoli (del diametro di 2-5 mm), diffusi e non sempre rotondi e regolarmente distribuiti” (G. Del Forno e A. Fondrini, Il formaggio Bitto, Rezia agricola e zootecnica, n. 5, maggio 1976).
 

La foto qui sopra si riferisce ad una confezione acquistata in un supermercato (come testimonia l’etichetta).

Già l’idea di mettere in vendita il Bitto tagliato, plastificato e prezzato in mezzo ad altri prodotti meno nobili (dai quali lo distingue il prezzo) è abbastanza discutibile;  almeno al banco gastronomia si vede una forma/mezza forma, si capisce un po’ di più cos’è, ma sorvoliamo su questo pur discutibile aspetto…

In questo caso la forma presente nel banco della gastronomia (che fosse la stessa dalla quale erano stati tagliati i pezzi confezionati o comunque della stessa partita) presentava la stessa mancanza di occhiatura. Osservando spesso il Bitto Dop in vendita presso lo stesso punto vendita della Gdo possiamo tranquillamente affermare che molto spesso il Bitto Dop è così.
 
Quanto al gusto, il campione si è dimostrato particolarmente piatto, delicato, poco inteso, per nulla persistente. Francamente 26 € al kg spese male.
 
Nel frattempo, il formaggio degli alpeggi delle Valli del Bitto, fatto come una volta si faceva il Bitto, non si può chiamare Bitto per non “usurpare” questo Bitto qua. Che Bitto non è.

Michele Corti
http://www.ruralpini.it

13 gennaio 2010