Il clima al Consorzio di Tutela del Gorgonzola non dev’essere dei migliori se è vero, com’è vero, che il quarantesimo anniversario della sua fondazione – festeggiato il 29 aprile scorso – ha coinciso con l’annuncio di un sensibile calo della produzione (-2,2%) registrato nell’esercizio 2009.
Sarà un po’ per la preoccupazione che questa notizia porta con sé, sarà per eccesso di scrupolo nel difendere i propri interessi, ma sta di fatto che la notizia più clamorosa che giunge in queste ore sul fronte dell’erborinato più venduto d’Italia è che proprio il consorzio ha deciso di denunciare il comune di Gorgonzola e un minuscolo caseificio artigianale che là svolge la sua attività e il cui proprietario aveva deciso di dare nuova vita all’antesignano del Gorgonzola d’oggi, vale a dire allo “Stracchino di Gorgonzola”. Che con il Gorgonzola Dop non ha in comune né il nome, di fatto (uno è il Gorgonzola formaggio, l’altro il Gorgonzola paese), né la tipologia casearia, avendo come unico fattore comune la sola erborinatura.
Ma c’è di più: Francesco Invernizzi (il casaro “sotto accusa”) conduce le vacche al pascolo, come da tradizione, perché solo con il latte delle vacche stanche (stracche, in dialetto) si può fare il vero Stracchino di Gorgonzola. Se poi si risale alle premesse che hanno portato questo piccolo produttore a dare nuova vita ad un formaggio antichissimo (l’aver puntato alla De.Co, per esempio), allora si capisce quanto il consorzio si stia avviando a combattere più una “guerra di principio” contro un piccolo artigiano dai piccoli numeri che altro, trascurando però un possibile confronto (che a nostro avviso sarebbe utile, ndr) con il suo stesso passato, la sua storia, le sue origini.
Da una parte il colosso della Dop industriale, dall’altra quindi il piccolo produttore che intende rinverdire e rilanciare le origini, in nome di una tardizione che da “Gorgonzola paese” iniziò e che secondo noi sarebbe bene riprendesse a vivere, se non altro per recuperare ai cultori della tradizione un pezzo di storia così importante per il settore caseario. Ma forse è proprio il misurarsi con la storia che può non piacere a tutti, visto che oramai la zona di produzione è talmente allargata da investire più regioni. E visto che a livello caseario, ma anche organolettico e gastronomico, la distanza è tanto, troppo importante. E un vero confonto persino sterile quanto improponibile.
E se così stessero le cose, com’è verosimile credere, se una motivazione del genere fosse anche solo secondaria, forse inconscia, forse sottaciuta, allora il limite sarebbe quello di non voler prendere le misure con la propria storia, e con il grande mutamento che nel tempo l’istituzione di una Dop irrimediabilmente comporta.
12 maggio 2010
aggiornato il 12 luglio 2010