C’è allarme tra gli amanti dei formaggi più autentici del nostro arco alpino. Il Bitto storico – che si fa utilizzando anche latte di capra, senza mangimi né fermenti aggiunti – sarebbe a rischio di scomparire, come e forse più di altri formaggi prodotti in alpeggio, per via del mal gestito ritorno di lupi e orsi sulle montagne del nord Italia.
Al centro del problema ci sono le due specie di predatori più temuti sulle nostre montagne, e le loro razzie, tema che in queste settimane che precedono la salita delle mandrie e delle greggi in alpeggio sta infiammando il dibattito, tra chi difende alcune delle produzioni rurali più autentiche, e chi – ambientalisti urbani, in genere, mossi da un inconscio ideale disneyano – vorrebbe proteggerli senza un “ma” e senza un “se”.
È proprio per via degli spostamenti annunciati dei predatori che si fa via via più concreto il rischio di abbandono della monticazione delle capre, e una capra nata per vivere l’alpeggio, se la si relega in azienda la si destina o ad altre produzioni o, alla lunga, a scomparire. Teoria non tanto remota, soprattutto se applicata a razze vulnerabili come quella della capra Orobica (da pochi anni salvata dal rischio di estinzione), ora che una circolare del Parco delle Orobie bergamasche, in circolazione dal 15 maggio scorso e firmata dagli esperti del lupo e dell’orso Alberto Meriggi e Chiara Crotti, mette in guardia sulle conseguenze che si manifestano all’orizzonte.
I due esperti hanno infatti allertato tutti i comuni e le comunità montane circa il possibile arrivo nel Parco degli orsi denominati “M2” ed “M6” dal territorio bresciano e senza escludere neppure che un altro orso non identificato, che si muove tra la Valtellina e la Svizzera, possa puntare a sud.
“Si invitano le amministrazioni locali”, si legge nella circolare, “a segnalare agli allevatori tale possibilità, invitando gli stessi a prendere le necessarie misure (utilizzo di cani da pastore, greggi sorvegliate, stabulazione notturna del bestiame, recinti elettrificati), evitando il pascolo libero essendo tale tipologia di allevamento estremamente a rischio di predazione”.
Un atto dovuto, quello dell’ente parco e dei due studiosi, per allertare “a priori”, quasi un mettere le mani avanti nell’ipotesi in cui tali eventi si avverassero. Ma in concreto nulla che aiuti i caricatori d’alpe né i loro animali, alla vigilia – ormai – della prossima stagione d’alpeggio.
3 giugno 2010
Per chi volesse saperne di più su questa tematica, è disponibile un più ampio articolo cliccando qui
Perché la pastorizia più autentica è a rischio
di Michele Corti
Dove la montagna è aspra, i versanti scoscesi e il pascolo costituito da “atolli” di cotica erbosa corta dispersi tra le rocce, e vi sono ampi arbusteti, il sistema di pascolo è basato sul controllo a distanza da parte da parte del pastore che, a volte, avrebbe difficoltà a seguire le capre su certi percorsi “alpinistici”.
Il gregge viene fisicamente accompagnato per un certo tratto dall’addetto alle capre (un pastore che mantiene una sua specializzazione, anche se poi munge le vacche come gli altri), che le “lancia” verso determinate aree del pascolo. In questo modo, nel corso della giornata, il gregge compie dei percorsi-tipo consuetudinari e, se non rientra in tempo per la mungitura, si sa dove andarlo a cercare. Nulla a che vedere con il “pascolo brado” (pascolo di rapina perché non si paga l’affitto dell’alpeggio), in cui gli animali sono controllati con il binocolo una volta la settimana (si pratica solo con i capi “in asciutta” e i benefici ambientali sono nulli perché gli animali brucano qua e là senza criterio, non si ripristinano sentieri etc.).
Negli alpeggi del Bitto le capre, invece, sono munte regolarmente e, pur utilizzando il pascolo secondo un criterio ben definito, esse sono “libere”. Di notte dormono spesso in cima ad un monte (l’istinto della paura dei predatori non è scomparso!). Parecchi alpeggi del Bitto al di fuori del nucleo “storico” dei “duri e puri”, hanno rinunciato a mantenere un gregge di capre in aggiunta alle vacche da latte perché, sia pure con questo sistema, è comunque necessario un “capraio”. Se il sistema di pascolo dovesse modificarsi a causa della presenza dell’orso e del lupo questo addetto sarebbe impegnato esclusivamente con le capre e, dal punto di vista economico, la cosa diventerebbe insostenibile (anche perché per la posa delle recinzioni il “capraio” dovrebbe farsi aiutare da altri pastori).