Bisognerà attendere il prossimo autunno per conoscere esattamente i dettami del disciplinare di produzione del Caciofiore della Sibilla, antico formaggio pecorino a caglio vegetale e breve maturazione di cui, pur essendosi persa continuità produttiva, è arrivata sino a noi traccia delle tecniche di caseificazione . Tra i vincoli produttivi di cui è data notizia, oltre all’uso di autentico caglio vegetale (e non microbico, come accade per i formaggi industriali di questo tipo, ndr), l’obbligo per il produttore di utilizzare materia prima di pecora Sopravvissana e, solo in parte di altre razze presenti nell’Alto Maceratese.
“Le prove sperimentali”, si legge in una nota della Provincia di Macerata, “sono curate da due caseifici (Di Pietroantonio di Belforte del Chienti e “Bio-Zootecnica Angeli” di Pieve Torina) che hanno accettato di partecipare al programma di valorizzazione promosso dall’ente e finalizzato a riportare sulle tavole, dopo piu’ di cinquant’anni, il pregiato formaggio. Dal punto di vista scientifico il progetto di recupero del Caciofiore della Sibilla è condotto dal Cias, Centro Italiano di Analisi Sensoriali di Matelica”.
«La riscoperta dei prodotti tradizionali e l’interesse crescente per i formaggi prodotti con caglio vegetale, anche da parte dei consumatori vegetariani, hanno spinto la Provincia», ha detto l’assessore all’agricoltura, Patrizio Gagliardi, «ad avviare un piano di recupero di questo antico formaggio, che rappresenta un simbolo dello stretto legame dell’uomo con la natura e il territorio in cui vive» (l’usanza di utilizzare estratti di piante per cagliare il latte risale al tempo dei Romani e fu ripresa dai pastori dei Sibillini, ndr).
Per quanto concerne l’aspetto sensoriale del formaggio, i primi risultati analitici parlano senza dubbio di un formaggio da consumare fresco o appena stagionato, poiché solo con una breve maturazione si possono percepire al meglio le caratteristiche del formaggio, tra cui spiccano i sentori di latte, erba fresca e cagliata, con un retrogusto amaricante dovuto all’utilizzo del caglio vegetale.
«A tale proposito», ha sottolineato la direttrice del Cias Lucia Bailetti, «nel quadro del programma di valorizzazione sono state attivate alcune prove sensoriali comparative, volte ad identificare le tecniche di produzione che garantiscono la miglior resa qualitativa. Oltre al tipo e alla qualità di latte da utilizzare, stiamo valutando di chiarire quale tipo di caglio vegetale veniva effettivamente utilizzato per produrre questo pecorino. Diverse testimonianze, infatti, fanno riferimento all’uso dei fiori del cardo selvatico mentre altre fonti citano l’utilizzo della foglia della pianta selvatica comunemente detta “carlina”».
«Terminata la fase sperimentale», ha aggiunto Gagliardi, «si definiranno gli aspetti produttivi del Caciofiore della Sibilla per la definizione del relativo disciplinare di produzione; uno strumento fondamentale a cui si deve arrivare con la necessaria preparazione tecnico-scientifica».
23 giugno 2010