Ancora una volta la tracotanza spavalda dell’industria è lì da vedere. Il caso della Lactitalia, azienda rumena controllata dalla Roinvest dei fratelli Pinna di Thiesi (70,5%), oltre che dalla Simest e dal Fondo Venture Capital
(emanazioni del Ministero dello Sviluppo Economico: 29,5%) ha invaso le cronache di questi giorni, a seguito della denuncia della Coldiretti.
Ma cos’è accaduto di così eclatante da sollevare tanto clamore e interesse sull’ennesimo “caciogate” italico? La maggiore organizzazione agricola italiana punta il dito contro i maggiori industriali sardi del latte ma anche contro il governo italiano, rei i primi d’aver impiantato nel Paese dell’est europeo un caseificio (a Izvin, nei pressi di Timioara) che ogni giorno sforna tonnellate di formaggi con nomi italianissimi, e il secondo d’aver sostenuto l’operazione con i soldi pubblici.
Dal Dolce Vita alla Ricotta, dal Toscanello al Pecorino, al Basky (unico di tutta la loro gamma a non alludere all’Italia) i formaggi rumeni dei fratelli Pinna hanno generato il più clamoroso e indifendibile caso di concorrenza al “made in italy”, tanto più evidente ora che la crisi dei pastori sardi è così seria, e tanto grave perché perpetrato da imprenditori italiani e con denaro degli italiani.
All’accusa di conflitto di interessi, l’industria sarda ha replicato, giorni fa, affermando per bocca del direttore marketing Paolo Pinna che i loro formaggi vengono prevalentemente smerciati in Paesi diversi dall’Italia, in primo luogo in Usa e in Ue e che in quello stabilimento non sono mai stati prodotti né Pecorino Romano né Pecorino Sardo. Ragioni evidentemente deboli se solo si pensa che, in presenza di tonnellate di formaggio apparentemente italiano su mercati esteri, il prodotto italiano, e sardo in particolare, non potrà che registrare un freno alle esportazioni.
Sul fatto che un ente emanazione di un ministero italiano abbia sostenuto l’iniziativa rumena dei Pinna, l’industria di Thiesi ha tentato una difesa alquanto debole, affermando che la Simest, sulla base della vigente legge in materia di sostegno alle aziende, avrebbe aiutato l’azienda a internazionalizzarsi.
Una chiave di lettura diversa, e assai più attendibile è che lo Stato, con i soldi degli italiani, ha foraggiato degli industriali del nostro Paese ad avviare un’unità produttiva in un Paese in cui la mano d’opera è più a buon mercato, il latte è più a buon mercato, le imprese straniere sono sostenute da finanziamenti pubblici. Il tutto con la conseguenza che per il nostro made in Italy ora c’è meno spazio per l’esportazione.
16 settembre 2010