Ancora una modifica di un disciplinare di produzione suscita l’interesse dei giornali e delle agenzie di stampa, e ancora una volta l’enfasi delle grandi occasioni arriva, esaltata dal puntuale intervento mediatico di Coldiretti, senza che la notizia venga offerta al mercato col benché minimo taglio critico .
Stiamo parlando della restrizione introdotta dall’Unione Europea al confezionamento del Parmigiano-Reggiano, che d’ora in avanti non potrà essere effettuato al di fuori della zona di produzione. Il primo pensiero, certo, va ai truffatori che spacciano Parmesan, Parmesao e Reggianito, e alle necessarie misure per contrastarli. Ma il secondo corre veloce a quanti – selezionatori e stagionatori – operando con serietà encomiabile, hanno avuto il merito di scovare, valorizzare e portare a lunghe e lunghissime stagionature il meglio dei Parmigiani di montagna, delle razze locali Rossa Reggiana e Bianca Modenese. Operatori che dopo anni di ricerca, valutazioni, viaggi e attente selezioni, si troveranno di fronte ad un divieto insormontabile e saranno costretti a scelte negative, oltre che per sé stessi anche per la parte buona del mercato che da loro si approvvigiona.
Quale soluzione per questo ennesimo pasticcio reggiano? Cosa dovranno fare gli stagionatori d’eccellenza? Acquistare dal produttore, stagionare fuori zona (la stagionatura, a certi livelli, non è un fatto delegabile) e rispedire il prodotto nella zona d’origine per il taglio e il confezionamento? Delegare forse la stagionatura a terzi, quando l’arte dello stagionare è oramai di pochi, e nelle zone di origine si prediligono celle climatizzate alle cantine statiche, in cui elevare il prodotto verso la sua massima espressione? E i costi? I costi sin dove balzeranno? E quanto il mercato capirà le conseguenze che da questa situazione deriveranno?
Purtroppo, e una ancora volta, in una vicenda in cui sono in gioco le discriminanti di qualità e quantità, di eccellenza e di business, il consorzio bada al soldo, e non al sodo. Al bene di molti più che alla tutela di tutti e dei migliori. Un ente che – fallito il tentativo di affermare l’idea di un prodotto con un unicum di eccellenza diffusa – torna a trascurare e penalizzare chi, al proprio stesso interno, opera ai massimi livelli di qualità, costanza e serietà aziendale.
A titolo di cronaca, e per completezza d’informazione, il parere positivo dell’Ue per questa modifica del disciplinare riguarda anche altre due questioni, queste apprezzabili: l’elevazione, dal 35 al 50%, del foraggio prodotto in azienda dall’allevatore e i quattro mesi di “quarantena” imposti alle bovine provenienti da altre filiere produttive (prima che il loro latte venga utilizzato nei caseifici, al fine di evitare che alimentazioni meno pregiate ne inficino la produzione).
16 dicembre 2010