Quando c’è impegno e si lavora con serietà, allora si “rischia” che i risultati arrivino, e importanti. È questa la morale della storia di oggi, che ai più potrà passare un po’ sottotono, ma che nella sostanza rappresenta per la cultura e la comunità rurale alpina la riconquista di diritti civici che apparivano oramai persi
. Dopo varie speculazioni che negli ultimi anni avevano portato un’infinità di sindaci di paesi montani ad affittare gli alpeggi sempre e solo al miglior offerente (pecunia non olet, ma in molti casi le frodi erano assai evidenti, ndr), ecco ora che il comune di Asiago, facendo proprie le disposizioni in materia stilate dalla locale Comunità Montana Spettabile Reggenza dei Sette Comuni, decide che le malghe di Dosso di Sotto e Porta Manazzo verranno affittate (per il quinquennio 2011-2016) con diritto di prelazione ai residenti nel comune.
Nei vincoli che i malghesi dovranno accettare c’è quello di utilizzare almeno un 40% di latte per la produzione di Asiago Dop “di montagna” e, se l’azienda non ne ha mai prodotto, l’iscrizione al Consorzio della Dop sarà d’obbligo. “Spintanea” sì, ma quantomeno gratuita, almeno all’inizio, visto che per metà l’iscrizione se la accolleranno il consorzio stesso e per metà l’amministrazione comunale.
Un’altra iniziativa, che a noi piace un po’ meno, per motivi di sostanza, è quella che vedrà i produttori locali richiedere la denominazione “prodotto di montagna” anche i formaggi prodotti in caseifici cooperativi partendo da latte raccolto nelle malghe. Nella speranza che i latti di più malghe non vengano miscelati ma che conservino ognuno la sua personalità nel proprio formaggio, e che lo scuotimento che dovranno sopportare non ne comprometta troppo le straordinarie qualità, c’è da ricordare che alcuni anni fa uno studio del professor Giulio Cozzi dell’Università di Padova dimostrò che quel genere di formaggi, quando vari latti convergono alla produzione di un unico prodotto “consortile”, in termini gustativi e salutistici tendono più ad assomigliare ai formaggi dell’industria che a quelli veri dei malghesi. E per prodotti del genere, spendere il buon nome della montagna per questioni di mero marketing, ci parrebbe onestamente un po’ fuori luogo.
21 gennaio 2011