
28 novembre 2008 – Il pastore è l’unico uomo che – a differenza degli altri – conta le pecore anche dopo aver dormito. E qualche volta gliene mancano davvero tante.
Ancora una strage di pecore, a Tragliatella di Fiumicino in provincia di Roma, dove alcune notti fa un branco di cani randagi ha seminato morte e terrore in un gregge reduce da una transumanza di tre ore (una transumanza in camion, che comunque stanca le bestie, ndr) uccidendo una sessantina di capi e ferendone quaranta.
A Domenico Stocchi, pastore reatino di Albaneto, proprietario degli animali, non è rimasto che sporgere denuncia e contattare l’Asl locale per salvare il salvabile. Un’impresa che ha «poche speranze» di riuscita – dice affranto l’interessato – perché «le ferite da morso portano spesso all’abbattimento dei capi».
Casi come questo arrecano alle residue attività pastorali danni difficilmente sostenibili: oltre alla perdita degli animali uccisi si aggiunge quella del latte delle bestie in terapia antibiotica, da cui per ovvi motivi non si può produrre formaggio.
Eppoi c’è lo stress patito dal resto del gregge, che ha comportato una forte riduzione della resa lattea: «il trauma è stato così grande», incalza il pastore, «che il giorno seguente le pecore ci hanno dato 130 litri di latte appena, vale a dire la metà del solito (trecento litri, ndr), con cui produciamo appena 22 chili di pecorino e ricotta al giorno».
Un rimborso parziale, certo, arriverà prima o poi dagli enti regionali, ma il problema immediato è quello della liquidità: «Una pecora costa sui 200 euro, ma il calcolo da fare è un altro», insiste Stocchi. «Ho cresciuto le bestie sino a oggi per poter produrre latte e formaggio; ora che l’animale non c’è più devo ricominciare un ciclo da zero. E poi questi soldi mi arriveranno tra due o tre anni, e io le pecore le devo ricomprare adesso».
Qualche certezza per ora il pastore ce l’ha, e non è certo positiva: le uscite, visto che l’affitto dei terreni lo dovrà pur pagare, e i ridotti livelli produttivi.
Una situazione grave, quindi, in quanto non esistono tutele per chi subisca incidenti come questo, che sono sempre più frequenti, a causa del randagismo (cani, appunto, ndr) e dell’inadeguata gestione della fauna selvatica (lupi, orsi, etc., ndr).
Lo stesso Stocchi, nel 2001, si era già trovato nei guai mentre era in transumanza all’interno del Parco del Veio, nel comune di Sacrofano, a nord di Roma. Allora furono animali selvatici, e si trattò di una vera e propria mattanza, con oltre duecento ovini uccisi, e il pastore che si vide costretto lui stesso a pagare le spese per l’incenerimento delle carcasse. «Senza contare la morte degli animali, la spesa fu di quindici milioni di Lire, a fronte del quale arrivò un risarcimento del Ente Parco di dieci milioni».
Il livello di esasperazione cresce quando si percepisce una burocrazia distante anni luce dalla realtà pastorale: le autorità competenti si limitano, in casi come questo, a provvedere alla castrazione dei predatori. Ma un animale affamato, sterilizzato o meno che sia, rimane pur sempre un animale in cerca di cibo e in grado di portare morte e devastazione all’interno di un gregge.
Come denuncia ormai da tempo Nunzio Marcelli, presidente dell’Arpo (Associazione Regionale Produttori Ovicaprini abruzzesi), in Italia non esiste un preciso piano di difesa a favore delle attività pastorali, a differenza di altri Paesi comunitari in cui esso è considerato per quello che è: un patrimonio da valorizzare e difendere, tanto da riconoscere un compenso al pastore, se non altro, per la sua opera di pulizia dei terreni dalle erbacce.
Un barlume di speranza potrebbe però arrivare a breve da una nuova discussione alle Camere su alcuni disegni e proposte di legge relativi alla riforma sulla caccia. All’interno di essi verranno trattate le questioni inerenti i risarcimenti dei danni all’agricoltura provocati dalla fauna selvatica, che oggi sono stimati dalla Coldiretti in circa settanta milioni di Euro l’anno. Ma un dubbio ci assale: si ricorderanno della pastorizia?