Il Bitto storico non demorde, anzi rilancia la propria realtà – sempre più stimata in Italia e nel mondo - e la propria causa, compiendo l’azione che meglio potrà condurlo ad un sostegno collettivo forte e alla salvaguardia del proprio futuro. Parte infatti la campagna di azionariato popolare della commerciale del Bitto storico , la Valli del Bitto Trading SpA, e proprio grazie a quest’azione che sin da adesso i sottoscrittori possono effettuare versamenti anticipati per “riservarsi” delle azioni, in vista dell’aumento di capitale che avverrà nel prossimo settembre.
Paolo Ciapparelli (nella foto), presidente del Consorzio del Bitto storico, e ormai noto ai più come il “guerriero del Bitto” lo aveva annunciato l’8 maggio scorso, in occasione dell’assemblea della Valli del Bitto Trading: «siamo pronti a giocare la carta dell’azionariato popolare, confortati dal sostegno che circonda la nostra causa e da tante espressioni di solidarietà e simpatia». Vale a dire che ora, sin d’ora, chi desideri concorrere attivamente alla causa del Bitto storico – un esempio forse unico al mondo di resistenza casearia alla omologazione del gusto e dei cervelli – può farlo in modo efficace. Bastano 150 euro per acquistare un’azione della Valli del Bitto Trading, la società che ha consentito al Bitto storico di gestire la magnifica casera capace di tremilaconquecento forme, che sta garantendo l’autonomia e la valorizzazione di questo formaggio unico.
La trading del Bitto storico ha un capitale di 360mila euro, provenienti da quarantatré donne e uomini di “buona volontà” che credono in quest’avventura. Un’avventura che punta a salvare un prodotto che non è solo un formaggio, bensì un’espressione di una vera e propria “civiltà del Bitto”, un sistema perfezionato in secoli di sfruttamento razionale dei pascoli alpini, di caseificazione accurata, di arte dell’affinamento, della valutazione delle forme e partire migliori. Un “sistema” che guarda avanti e sa di poter contare sui tempi lunghi della storia per uscire vincitore nel confronto con i meschini interessi contingenti degli adepti della standardizzazione, delle furbizie di corto respiro del marketing.
Per ora, però, gli interessi di corto periodo trovano le istituzioni, gli amministratori locali unanimi nel cercare di affossare un’esperienza controcorrente e “sovversiva” delle logiche dell’industria, della società dell’immagine che manipola tipicità e tradizione per fini di profitto immediato. Ecco perché serve il sostegno della gente. Ai piccoli imprenditori, locali e non, che stanno già sostenendo con migliaia di euro tirati fuori di tasca propria la Valli del Bitto possono unirsi finalmente i tanti estimatori del Bitto storico, le tante persone che amano queste valli, che amano le cose autentiche e che hanno a cuore la conservazione nel tempo della loro integrità.
L’aumento di capitale sarà stabilito a settembre, quando verrà cambiato anche il nome della società (sarà eliminata il poco felice e anglofono “trading” e sarà fatto un riferimento diretto alla ragione sociale: il Bitto storico) e poco prima dell’impegno del Cheese di Bra. Alla rassegna internazionale casearia organizzata da Slow Food, il Bitto storico avrà un posto d’onore. Sarà l’occasione per presentare i risultati di tante battaglie e sarebbe bello poter annunciare che tanti piccoli e piccolissimi azionisti si sono uniti alla società che commercializza il Bitto. La garanzia del carattere etico dell’operazione è presto illustrata con poche cifre. La società ha dovuto impiegare tutte le sue risorse per pagare l’affitto anticipato della casera (per venticinque anni) e per arredarla. Solo i canoni anticipati (che garantiscono continuità e sicurezza all’attività dei produttori) hanno richiesto un esborso di 300mila euro.
L’altro dato è rappresentato dal prezzo etico di acquisto del Bitto fresco: 15-16 €euro al chilo, in funzione della qualità. Un prezzo strameritato per il valore del prodotto – mai raggiunto da nessun altro formaggio – e a cui vanno aggiunte le laboriose e assidue operazioni di cantina, di cura e toelettatura delle forme, la rigida “selezione” che impone di tagliare le forme che si intuisce non possano sostenere un invecchiamento ulteriore. Un lavoro impegnativo e una forte incidenza di forme e pezzi di formaggio che occorre valorizzare in modo diverso e con minor resa economica.
Con l’aumento del capitale la società si propone di acquistare più forme riducendo il numero di quelle che vengono vendute fresche dai singoli produttori (con minor ricavo) e aumentando la “base” della selezione di “prima scelta” destinata a diventare un vertice mondiale di qualità casearia. Quest’anno a Bra verranno aperte in diretta televisiva e messe all’asta a favore del Consorzio, ma per metà del ricavato a Presidi di paesi poveri, forme di 15 (quindici) anni mantenute in casera in condizioni naturali, e non in cella, altro fatto più unico che raro.
Tutte queste asserzioni possono essere verificate da chiunque con il massimo di trasparenza. Basta recarsi di persona al Centro del Bitto storico, a Gerola Alta (detto anche e non a sproposito “il Santuario del Bitto) per rendersene conto. Gli aspetti tecnici ed economici vi verranno spiegati nei dettagli. Dopo di che crediamo davvero che non saranno pochi ad aggiungersi alla già nutrita schiera degli azionisti “di base” di questa straordinaria realtà. Per chi non ha la possibilità di andare di persona, consigliamo di visionare il sito web del Bitto storico e di scrivere o di telefonare per ogni altro dettaglio relativo all’operazione.
3 giugno 2011
Michele Corti / Ruralpini.it