Stribugliano: il caseificio si prende gioco dei pastori

''Ce ne fossero di posti buoni puliti e giusti come una stalla, nei luoghi della politica''. È questo che pare dire Nunzio Marcelli con il suo ''eleogio della stalla''Stribugliano è un luogo, in provincia di Grosseto, che sulle carte geografiche spesso neanche si trova, tant’è piccolo. Duecentocinquanta anime – più o meno – che d’estate diventeranno sì e no trecento. Una frazione del comune di Arcidosso alle pendici del Monte Amiata, che per quanto minuscola, di recente ha assunto un’importanza cruciale per i pastori dell’intera provincia, dal momento che la società Latte Maremma sarebbe intenzionata a rilanciare il locale caseificio.

Un condizionale d’obbligo, visto che al di là delle premesse intavolate tra le parti (in primis l’uso di solo latte locale, ora messo in dubbio dai fatti, ndr), le condizioni che l’azienda pone ora ai pastori sono a dir poco inaccettabili: dopo mesi di trattative intavolate tra i vertici del caseificio e la rappresentanza dei pastori, e nonostante la totale disponibilità e il sacrificio di un seppur minimo guadagno da parte di questi ultimi, le condizioni offerte da Latte Maremma non riescono a garantire l’individuazione di un’intesa equa.

E sinceramente c’è qualcosa che appare incomprensibile, se il braccio di ferro tra l’azienda e gli i fornitori di latte locale rischia di far sfumare l’accordo, lanciando diversi grossi quesiti sul futuro della diffusa economia pastorale della provincia: come potranno uscirne incolumi i pastori, e quale presidio avrà il territorio un domani, se li si costringerà a chiudere le loro aziende? E poi, come potrà il caseificio conseguire il traguardo di una produzione “locale e leale” che, almeno a parole, si prefiggeva, senza gli attori principali della filiera?

Chi ha seguito da vicino le trattative tra le parti parla di un’inadeguata corresponsione economica del latte alla produzione, ma anche dell’assenza di qualsiasi forma di riconoscimento nei confronti di produttori che per quasi un anno hanno fatto enormi sacrifici, al fine di consentire il salvataggio del caseificio.

Il terzo fronte che lascia assai perplessi, infine, è quello rappresentato dal ruolo di Coldiretti, che se da una parte ora si sbraccia nel lamentarsi di una situazione “frustrante” per gli associati, dall’altra si rivela incapace di gestire un tavolo delle trattative in cui si è sostituita di fatto ai pastori, ancora una volta senza raggiungere nulla di concreto per tutelare i propri iscritti. E allora la domanda torna d’obbligo, ancora una volta: ma a cosa servono le associazioni di categoria se l’unico risultato prodotto per gli iscritti è quello di stracciarsi le vesti davanti ai media?

In questa situazione, è naturale, la base rumoreggia, e il polso del dissenso lo si trova palpabile sui social network come facebook, nei cui gruppi di discussione sulle tematiche agricole campeggiano ancora in queste ore decine di commenti che non lasciano spazio ai dubbi: “nonostante io non abbia la loro tessera” dice uno, “vanno a firmare il contratto anche per me”, e l’altro dal suo canto rincara la dose: “io a quel tavolo mi ci sono seduto un paio di anni fa… si venderebbero anche la madre pur di fare la loro sporca figura politica! degli interessi dei pastori non gliene frega niente a nessuno, e la cosa più grave è che i primi a non capire questo sono gli allevatori stessi!”

Con buona pace per pastori e associazioni, il ruolo di queste ultime ci appare sempre più oscuro. A quando un fronte autodeterminato dei pastori italiani? È già svanito nel nulla il “movimento dei forconi”?

7 ottobre 2011