La nuova scommessa dell’Emilia casearia ha il sapore antico della tradizione e dell’economia rurale d’una volta. Si tratta del Furmaìn, una piccola caciotta vaccina, da secoli legata al mondo del latte destinato alla produzione di Parmigiano-Reggiano. Un prodotto che, a detta di chi ha investigato sulle sue origini, affonderebbe le proprie radici nella storia del XVII secolo e che è sempre stato presente nella vita rurale e dei piccoli caseifici sino al suo declino, avvenuto attorno alla fine del secolo scorso quando a tramontare, a seguito del boom del cosiddetto “re dei formaggi” fu anche il Pecorino dell’Appennino Reggiano.
Una produzione che aveva visto qualche piccolo cenno di spontanea ripresa negli anni scorsi da parte di alcuni caseifici, e che andava necessariamente sostenuta con un disciplinare, un’identità unica e ben riconoscibile, un marchio, un consorzio. A pensare a tutto questo è stato il Con.V.A. (Consorzio Valorizzazione Prodotti Appennino) di Castelnuovo ne’ Monti, grazie alla cui azione il prodotto si è ora dotato di tutto quel che serve per affrontare il mercato nel migliore dei modi.
E non sarà un caso se proprio ora, con la nuova crisi del numero uno dei Dop italiani, e la recente introduzione delle “quote Parmigiano”, il Furmaìn sta assumendo un particolare valore rappresentando per i produttori una valida opportunità per diversificare. I dati ufficiali dicono che dopo un primo avvio in sordina, i caseifici coinvolti nell’operazione hanno già visto questo piccolo grande formaggio raggiungere quote dei fatturati aziendali oscillanti tra il 2 e il 4%.
La rinata realtà del Furmaìn, per quanto trasposizione “organizzata” di un fenomeno nato spontaneamente nella dimensione familiare (un tempo era prodotto dopo la pausa invernale, col primo latte della mungitura, ndr), e tuttora fatta di pochi ma determinati protagonisti, ha tutte le carte in regola per assumere connotati di maggiore rilevanza. «Questo che abbiamo avviato», sottolinea il presidente del Con.V.A. Ivano Pavesi, «è un percorso aperto. Perché i caseifici e le aziende che col latte “nobile” della zona producono questo formaggio, possono utilizzare il suo nome in accordo con tutti gli aderenti al progetto».
Radici nella storia e occhio al mercato
In passato il Furmaìn era ristoro dal lavoro per i contadini, ma anche appetitosa portata per i bimbi, che lo amavano, per la sua delicatezza, che ancora oggi mantiene. Alcuni caseifici, invece, riservavano la caciottina ai soci, come omaggio, visto che non si usava indirizzarla al commercio.
Prodotta oggi in due versioni – fresca e stagionata – la caciotta emiliana è riconoscibile dall’etichetta bordeaux, è morbida e dolce quando giovane, e viene consumata a partire dal terzo giorno di produzione. Quella stagionata, invece, commercializzabile dal 90esimo giorno, ha un carattere più deciso e leggermente piccante ed è riconoscibile per l’etichetta dorata. Entrambi i tipi provengono da una realtà della pianura padana in cui gli animali sono alimentati esclusivamente con foraggi della zona d’origine e, d’estate, anche con erba fresca.
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16 dicembre 2011