Una Maraini faziosa al fianco del lupo e contro la montagna

Esemplari di lupo europeo – foto Pixabay©

Sarebbe facoltà di uomini e donne colti il sapersi calare nelle situazioni più complesse che ci circondano e capirle, prima di parlarne. Sarebbe dovere del giornalista e dello scrittore il comprenderle davvero in ogni loro parte, il documentarsi senza trascurarne alcun aspetto e il parlarne o lo scriverne compiutamente. Ma così non è sempre . O quasi mai.

Cosa ci resta da fare allora se non il giudicare severamente e senza attenuanti coloro i quali, approfittando dello scranno alto dei grandi media, e abusando della propria popolarità distribuiscono una visione parziale e partigiana dei fatti?

Cosa è successo a Dacia Maraini, mercoledì scorso 14 febbraio, per portarla a scrivere un articolo fazioso e indecente agli occhi di chi usi solo un po’ la propria testa per riflettere? E a dare misera sostanza a quanti altri, animalisti da salotto, vedono la salvaguardia di una specie alla volta quasi fosse una squadra da sostenere contro tutte le altre?

Cosa ha spinto la scrittrice a dare alle stampe (sul Corriere della Sera, tanto nelle edicole che sul web) un pezzo (“Non sparate sul lupo, cattivo solo per le favole”) fortemente lacunoso (le ragioni dell’uomo che vive la montagna ed è ormai sotto assedio, dove sono?) e largamente falso (il lupo non si nutre di topi né di soli animali zoppi o vecchi; e di lupi nel solo cuneese ve n’è assai più di quaranta, e persino di quattrocento!) pur di difendere la parzialissima idea che il lupo vada protetto senza “se” e senza “ma”?

Siamo stanchi di sentire i due fronti contrapposti difendere l’uno le irragionevoli ragioni dei lupofili, l’altro le sole ragioni di chi ha il diritto di vivere la montagna e di montagna, il suo senso di impotenza per i cruenti attacchi e le perdite, la frustrazione, il danno economico e morale. Quanto tempo dovremo aspettare, o – meglio ancora – cosa si può fare per avviare un dialogo che miri al raggiungimento di un equilibrio ancora possibile? Cosa dovremo fare o volere, come e dove ci dovremo battere per far sì che non ci debba scappare il morto per vedere affrontare la questione per il pericolo che già oggi essa sottende?

In tutto questo gran parlare, spesso – o quasi sempre – a sproposito, è Nunzio Marcelli, presidente dell’Arpo (Associazione Regionale Produttori Ovicaprini d’Abruzzo) ad affidare a chi frequenti il gruppo Propast su facebook il pensiero più maturo e che più fa riflettere sulla questione lupo: “forse è tempo”, dice Marcelli, “di stanare i veri mandanti dei lupi, quelli che ci campano e che non capendo ma soprattutto non volendo vivere lavorando con fatica, impongono regole scriteriate a coloro che praticano nelle aree marginali e montane, agricoltura e allevamenti tradizionali da millenni”.

“I risultati”, continua il presidente dell’Arpo, “sono sotto gli occhi di tutti: per quattro stipendi da mantenuti, sono diventati insieme alla burocrazia demente la prima causa di morte delle comunità di montagna”.

Le comunità che vivono e tengono viva la montagna non ce l’hanno su col lupo. Ce l’hanno su con chi non capisce la montagna e i suoi abitanti. Il lupo avrebbe molto da cacciare oltre alle pecore e alle capre e ai vitelli. Avrebbe tanto selvatico, dal capriolo al camoscio agli innumerevoli cinghiali che infestano i nostri boschi. E allora diamola ai pastori la possibilità di difendere le loro greggi, il loro stesso lavoro e il sacrosanto diritto di vivere in montagna e di montagna, difendendo solo i propri animali. Basterebbe uno sparo in aria per scacciare tanto il predatore quanto i suoi problemi dietro le spalle.

E forse è proprio vero che in certi ambienti quel che non si vuol capire è che per aiutare il lupo strada migliore non c’è che quella di aiutate i pastori.

18 febbraio 2012