Ilva di Taranto: la fiducia degli allevatori per un processo giusto

altLe colpe in genere si pagano, si sa, e gli errori dei padri sono inevitabilmente destinati a ricadere sui figli. In particolare quelli compiuti in materia ambientale. Certo che di colpe i padri di Taranto ne hanno non poche, prima tra tutte quella di non essersi ribellati efficacemente alla cronicizzazione del “mostro Ilva”, accompagnando e in qualche misura sostenendo il lassismo e l’eccesso di benevolenza della politica e delle amministrazioni locali per lo strapotere della lobby industriale che fa capo alla famiglia Riva.

Nei giorni scorsi però e finalmente, è ripreso il processo a carico di proprietari e dei dirigenti dell’azienda siderurgica, che mai hanno messo a norma l’impianto (uno in tutto simile funziona, non lontano da Trieste,  rispettando i limiti di legge in tema di impatto ambientale) ritrovandosi oggi sul banco degli imputati per disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose e inquinamento atmosferico.

altE mentre i difensori degli accusati contestano l’attendibilità delle perizie sin qui eseguite e il Governatore Niki Vendola pare più interessato a salvare l’occupazione (a quale costo?, ndr) che i diritti dei propri cittadini a vedersi garantire un ambiente salubre, il giudice ha fissato la prossima udienza al 30 marzo.

Ancora una volta vedremo il popolo dei tarantini ritrovarsi nelle strade della loro città; un popolo ricco della presenza di molti giovani ma anche di allevatori e agricoltori indignati, al cui danno subìto (aziende in ginocchio, quando non addirittura chiuse) si è sommata la beffa (di vedere migliaia di pecore e capre – “risanabili” con una dieta a base di foraggi non inquinati – finire nell’inceneritore per la sola “colpa” di avere elevati tassi di diossina nelle carni e nel latte).

Gli allevatori colpiti da quel disastro ambientale sono i Fornaro, gli Sperti, gli Epifani, i Quaranta, (assistiti dall’avvocato Sergio Torsella) e gli Intini (avvocato Maria Teresa Mercinelli), tutti rimasti senza una bestia. E senza lavoro.

Tutta gente che ha ripreso a sperare in una giustizia giusta, dopo che l’udienza del 17 febbraio ha rivelato un grande sostegno alla loro causa da parte di ambientalisti e studenti. “Ancora”, hanno affermato gli allevatori falcidiati dalla diossina dell’Ilva, “non riusciamo ad allontanare dalle nostre menti il ricordo di quanto avvenuto il 10 e l’11 dicembre del 2008, quando i nostri animali furono caricati sui camion della morte, destinati all’abbattimento e all’incenerimento, neanche fossero rifiuti tossici, perché contaminati da diossina. Quel giorno il cielo sembrava coperto da uno strato di piombo, lo stesso che pesava sui nostri cuori e che da allora non ci ha più abbandonati. Negli anni successivi altri animali in altre aziende sono stati uccisi ed intere attività produttive sul nostro territorio azzerate”.

E allora, ci si ritrova a chiedersi, cosa c’è di nuovo in questa vicenda dell’Ilva che da cinquant’anni avvelena la provincia pugliese? C’è che nel Paese da poco più di un anno si respira un’aria nuova. Un’aria di qualche fiducia rispetto all’esito di processi contro aziende responsabili di disastri colposi e dolosi (dopo il processo alla ThyssenKrupp quello recente alla Eternit, conclusisi entrambi con le condanne dei responsabili). Sarà anche per questa ripresa del processo, incorniciata da tante buone aspettative e da un clima di generale fiducia, che le vittime di questa folle e inaccettabile storia appaiono ora speranzose, pur nella coscienza di dover lottare come dei nuovi “Davide contro Golia”.

I Fornaro, gli Sperti, gli Epifani, i Quaranta, gli Intini, pur a un passo forse da quella “giustizia giusta” tanto anelata, non hanno mancato, nei giorni scorsi, di esprimere la loro solidarietà a quanti, come loro e più di loro, stanno vivendo il dramma per i bambini ammalati, per i lavoratori scomparsi e per chi ancora oggi si trova a sfidare condizioni difficili dentro e fuori la fabbrica.

25 febbraio 2012