Mangiar formaggi senza preoccuparsi della propria salute (parte 1 di 2)

di Arianna Rossoni, dottoressa dietista

foto Stefano Mariotti©

Senza ombra di dubbio, un’alimentazione sana ed equilibrata richiede una corretta armonia nella frequenza (oltre che nella quantità) con cui si consumano gli alimenti; in particolare determinati alimenti. Tra tutti i cibi destinati all’alimentazione umana, il formaggio è – più a torto che a ragione – uno tra i più impropriamente controversi, dal momento che tanto chi lo sconsiglia quanto chi lo fugge (lo stesso si potrebbe dire per il latte, come per le carni e i loro derivati) raramente si sofferma a considerarne la natura.

È così che la sciagurata tendenza a generalizzare porta molti a trascurare il fattore della qualità reale dei prodotti di origine animale, dal latte al formaggio, dalla carne agli insaccati. Basterebbe confrontare uno di questi alimenti recuperato nel banco frigo di un supermercato con un suo simile proveniente dal mondo rurale (pensiamo ad un bel formaggio preparato con latte d’alpeggio!) per pensare che il secondo sia “più buono”. Pensiero tanto semplice e intuitivo quanto azzeccato, raramente accompagnato dalla considerazione che a noi qui più interessa: vale a dire che quel prodotto – tanto più buono – sarà assai verosimilmente tanto “più sano” e utile al nostro organismo.

foto Pixabay©

La determinazione di molti piccoli produttori a rimanere distanti da una zootecnia intensiva e a trasformare le proprie materie prime in maniera tradizionale ha avuto negli ultimi anni le sue vittorie, tanto sul fronte dei riconoscimenti in ambito gastronomico quanto anche in campo salutistico. Grazie infatti ai puntuali studi specialistici(1) e alle relative analisi chimiche, il latte delle vacche allevate al pascolo si è dimostrato essere non solo più nutriente, ma anche più funzionale se confrontato con il latte industriale(2).

Per “funzionale” si intende un alimento che apporti sostanze utili all’organismo nel mantenimento della salute: il latte d’alpeggio – e di pascolo in genere – contiene molti più omega-3, CLA, vitamina E e beta-carotene rispetto al latte industriale. Si tratta di nutrienti che – tanto per fare un esempio – si sono dimostrati essere protettivi nei confronti del rischio cardiovascolare: ad essere fondamentale in questo senso è il rapporto tra gli acidi grassi omega-3 e gli omega-6. L’ideale sarebbe avere un rapporto 1:1 o al massimo 1:3; il latte industriale ha un rapporto sbilanciato, pari a 1:4, mentre le analisi di un latte fatto “all’antica” (da animali allevati e nutriti a foraggi locali) testimoniano un rapporto di 1:3 (vedi tabella qui sotto e clicca qui).

La tabella porta ad esempio il “Latte Nobile”, modello che nel 2015 poteva rappresentare un primo timido passo verso una qualità superiore rispetto a quella industriale(*)

Presumibilmente, e intuitivamente, si allineerebbero con questi dati anche tutti i formaggi provenienti da allevamenti estensivi: bovine alimentate ed allevate secondo i principi del reale benessere animale non potranno che dare un latte migliore rispetto alle assai meno fortunate sorelle allevate in stalla a suon di mangimi. Per non parlare poi del gusto. Il latte è un alimento che cambia a seconda della stagione e del tipo di alimentazione che si sarà riservata alla mandria: non esiste latte di montagna che abbia lo stesso sapore (né lo stesso colore!) da gennaio ad agosto, cosa che invece si può dire per il latte industriale: sempre e tristemente uguale tanto a sé stesso quanto al latte di una stalla all’altro capo della stessa nazione. Ovviamente, e speriamo che questo concetto sia ora chiaro a ciascuno di voi, anche i formaggi che da quei latti se ne ricavano avranno qualità organolettiche assai differenti tra di loro.

Grazie a tutti per avermi letto sin qui, e a ritrovarci ancora in questa stessa rubrica la prossima settimana!

“Mangiar formaggi senza preoccuparsi della propria salute”: la seconda parte del presente articolo è stata pubblicata in questa rubrica giovedì 12 febbraio 2015 ed è raggiungibile cliccando qui

5 febbraio 2015

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(1) “Il tenore in grasso del latte non è costante nel corso della lattazione, ma mostra valori più bassi a 2-3 mesi dal parto per poi tendere ad un progressivo e costante aumento con il procedere della lattazione; anche l’età degli animali può influenzare il contenuto lipidico con una tendenza ad aumentare sino ad una data età dell’animale, per poi diminuire. Per quanto riguarda le operazioni di mungitura, è noto inoltre che una mungitura incompleta ed un intervallo irregolare tra le mungiture, influenzano negativamente il tenore lipidico. Non si deve infine dimenticare lo stress o, meglio, il distress al quale sono sottoposti gli animali se le condizioni ambientali non sono ottimali, causando una evidente contrazione della produzione di grasso: il clima, attraverso le componenti umidità, temperatura e altitudine può influenzare infatti il tenore lipidico” (da “Qualità del latte e del formaggio d’Alpe. Caratteristiche sensoriali, tracciabilità e attese del consumatore” di L. Bailoni, L.M. Battaglini, F. Gasperi, R. Mantovani, F. Biasioli, A. Mimosi) Per leggere il testo integrale, clicca qui (file pdf 283Kb)

(2) “Se da un lato, ad inizio alpeggio le diverse razze fanno rilevare aumenti del contenuto in grasso del latte, dall’altro, proprio le stesse razze, allevate nel medesimo ambiente, si differenziano attraverso significative variazioni del livello di incremento e la qualità degli stessi grassi” (da “Una qualità “diversa” è possibile: il caso del Latte Nobile” di Daniele Furio; relatore Prof. Serena Calabrò UniNA Federico II) Per leggere il testo integrale, clicca qui (file pdf 1,3Mb)

(*) Aggiornamento del 10 ottobre 2020: Negli ultimi anni alcuni allevatori hanno avviato produzioni di latti garantiti “da erba” e “da fieno”, accompagnando spesso il prodotto con analisi degli acidi grassi (che il Latte Nobile non offre ai propri acquirenti). I valori di questi nuovi latti – tutti di singole aziende agricole indipendenti, che trasformano il solo proprio latte – sono ulteriormente migliorati rispetto a quelli espressi dalla tabella, aumentando la forbice tra latti “naturali” e latti “di zootecnia intensiva” (latti alimentari comuni; latti “dei mangimi“)

 

“Come risaputo, da diversi anni – e come confermato da innumerevoli studi scientifici – il nostro stile di vita ed il modo in cui ci alimentiamo sono condizioni imprescindibili per vivere bene, a lungo e in salute.
Nonostante queste siano cose note, troppo spesso il modo in cui ci alimentiamo viene influenzato da false credenze, conflittualità emotiva e condizionamenti sociali.
Siamo ancora troppo legati a concetti obsoleti come il calcolo calorico (mero esercizio matematico) o la paura dei grassi; siamo condizionati da quello che dice la pubblicità; ci confrontiamo con i corpi statuari delle riviste, palesemente ritoccati a computer e finti; confondiamo la fame con la golosità; mangiamo per enfatizzare o sminuire le nostre emozioni.
Quello che mettiamo nel nostro piatto diventa parte di noi in un modo molto più profondo che non la semplice scissione dei nutrienti in energia: diventa parte del nostro essere, condiziona la nostra emotività e il nostro modo di pensare.
Al di là della composizione nutritiva dei nostri pasti, il mio interesse si focalizza in particolare sulla qualità di quello che mangiamo: non possiamo permetterci di considerare il cibo industriale al pari di quello naturale anche se presenta lo stesso potere calorico e la stessa percentuale di carboidrati, grassi e proteine.
Con il mio lavoro di dietista e divulgatrice, promuovo un’alimentazione sana, naturale, stagionale e soprattutto gratificante: il cibo non dev’essere un estenuante compromesso tra il senso di colpa e il piacere, un accordo tra ciò che si ritiene essere salutare e l’offerta proposta dai supermercati”.