di Arianna Rossoni, dottoressa dietista
Alcuni lettori, a questo punto (la prima parte dell’articolo è qui), potrebbero ribattere che esistono diverse tipologie di burri, formaggini spalmabili e a fettine arricchiti di omega-3, e in effetti – se volessimo ancora una volta accettare una generalizzazione – potremmo dire che è proprio così. Peccato che si stia parlando di prodotti di natura ben diversa l’una dall’altra: nel caso dei latti da pascolo, i nutrienti preziosi per la nostra salute sono intrinsecamente contenuti nell’alimento, e derivano da un’alimentazione attenta(3) del bestiame (sono la naturale conseguenza dell’amore per il proprio lavoro e per l’arte della caseificazione).
I formaggini “arricchiti” sono invece – come dice la parola stessa – addizionati di certe sostanze (estranee alla natura della materia prima) nel corso del processo produttivo: ad oggi nessuno ha dimostrato ancora che una simile integrazione sia in grado di offrirci vantaggi in qualche modo accostabili a quelli che ci assicurano i nutrienti naturalmente presenti nei prodotti. Per farvi un paragone, è come pretendere di accostare i muscoli di un atleta che si allena 5-7 volte a settimana con quelli del palestrato nutrito a proteine in polvere: stessa è la massa muscolare, certo, ma altrettanto sicuramente l’efficienza sarà ben diversa.
I dati scientifici oggi a nostra disposizione arrivano a documentarci anche le differenze tra il latte e i formaggi prodotti da animali al pascolo e i loro omologhi ottenuti da allevamenti intensivi; per quanto fortemente migliori i primi, essi non devono indurci verso un loro consumo smodato. Sarà importante quindi acquisire e fare propri i contenuti di quegli studi, al fine di divulgarli al maggior numero di persone possibile, dal momento in cui un’alimentazione andrà a fornire o i mattoni che costruiscono – o gli elementi che ledono – la nostra salute. Proprio come il buon vino, che in piccole quantità (e da produzioni che facciano poco o nulla ricorso alla chimica) può proteggere la salute cardiocircolatoria, anche il buon formaggio diventerebbe quindi un alimento da degustare più che da mangiare: piccole quantità che fanno bene al palato, alla mente e – a quanto pare – anche alla nostra salute.
“Mangiar formaggi senza preoccuparsi della propria salute”: la prima parte del presente articolo è stata pubblicata in questa rubrica giovedì 5 febbraio 2015 (clicca qui per leggerla)
12 febbraio 2015
___
(3) Grafico da “Alimentazione animale e qualità dei grassi del formaggio” di V. Fedele, S. Claps, L.Sepe, M.A. Di Napoli – Cra Zoe – Bella (PZ) Per leggere il testo integrale, clicca qui (file pdf 111kb)
“Come risaputo, da diversi anni – e come confermato da innumerevoli studi scientifici – il nostro stile di vita ed il modo in cui ci alimentiamo sono condizioni imprescindibili per vivere bene, a lungo e in salute.
Nonostante queste siano cose note, troppo spesso il modo in cui ci alimentiamo viene influenzato da false credenze, conflittualità emotiva e condizionamenti sociali.
Siamo ancora troppo legati a concetti obsoleti come il calcolo calorico (mero esercizio matematico) o la paura dei grassi; siamo condizionati da quello che dice la pubblicità; ci confrontiamo con i corpi statuari delle riviste, palesemente ritoccati a computer e finti; confondiamo la fame con la golosità; mangiamo per enfatizzare o sminuire le nostre emozioni.
Quello che mettiamo nel nostro piatto diventa parte di noi in un modo molto più profondo che non la semplice scissione dei nutrienti in energia: diventa parte del nostro essere, condiziona la nostra emotività e il nostro modo di pensare.
Al di là della composizione nutritiva dei nostri pasti, il mio interesse si focalizza in particolare sulla qualità di quello che mangiamo: non possiamo permetterci di considerare il cibo industriale al pari di quello naturale anche se presenta lo stesso potere calorico e la stessa percentuale di carboidrati, grassi e proteine.
Con il mio lavoro di dietista e divulgatrice, promuovo un’alimentazione sana, naturale, stagionale e soprattutto gratificante: il cibo non dev’essere un estenuante compromesso tra il senso di colpa e il piacere, un accordo tra ciò che si ritiene essere salutare e l’offerta proposta dai supermercati”.