di Rosario Petriglieri, dottore in agraria
Torniamo a parlare di mungitura, ad una settimana dall’uscita della prima parte di questo articolo, e parliamo qui di genetica, anche perché la genetica ci ha messo poi del suo, in materia di mungitura, selezionando e favorendo la presenza di animali che fossero predisposti a dare il latte anche in assenza del figlio. Ma tutto questo non era fisiologico, e gli animali rispondevano come potevano, ovvero non dando il latte, oppure alzando i processi infiammatori della mammella(2) con liberazione di cellule somatiche.
Intanto l’industria lattiero-casearia comincia a capire che l’alto livello di cellule somatiche può essere dannoso per i prodotti (ma assai proficuo per le loro casse, e vedremo perché) e la legislazione comincia a dettare dei limiti di legge che l’industria utilizza spesso a suo favore per poter “tagliare” il prezzo del latte. Questo perché il latte con valori di cellule somatiche alti viene pagato di meno, ma non è che questo non venga ritirato, anzi, forse viene anche più ricercato, ché poi tanto un buon filtro, una buona centrifuga lo riporteranno alla “normalità”.
Negli ultimi anni cresce comunque la consapevolezza diffusa che qualcosa non va, e si comincia a studiare sempre più e meglio il sistema delle macchine di mungitura. In molti casi ci si rende conto che le macchine, sebbene funzionali e funzionanti, spesso sono lasciate nelle mani di rappresentanti poco esperti dal punto di vista tecnico, che non riescono a garantire un’adeguata assistenza. Una macchina che lavora due volte al giorno tutti i giorni, e per diverse ore per volta, necessita di attenzione, cura e manutenzione. In sostanza di professionalità nella sua gestione. Recentemente, e per fortuna, molte case produttrici stanno cominciando a curare meglio questo aspetto.
Certo che poi, quello che nessun impianto e nessun tecnico potrà mai sostituire, è la professionalità del mungitore. E di mungitori esperti e capaci ce n’è sempre meno, proprio in seguito alla sempre maggior diffusione delle mungitrici. La semplificazione assoluta che esse hanno introdotto ha portato i mungitori a dimenticare come si mungeva.
Non basta arrivare al cospetto dell’animale e attaccare la macchina; questo produce solo danni,: all’animale e al liquido secreto. È necessario massaggiare le mammelle, stimolarle, fare passare il giusto tempo per il rilascio degli ormoni utili all’eiezione del latte, e dopo – solo dopo – si può attaccare una macchina mungitrice. Questa saprà tirare via il latte, tutto, in modo continuo, ininterrotto, completo. Il mungitore però non dovrà distrarsi, non dovrà stare a intavolare discorsi o a fumare. Dovrà essere vigile e attento; dovrà controllare sempre minuziosamente che la mungitura avvenga bene. E staccare velocemente la macchina quando il latte sarà terminato.
Mungere è un’arte, un momento molto intimo tra uomo e animale, dove i preliminari sono importanti. La cura e l’attenzione durante la mungitura sono essenziali, il ringraziamento e la liberazione degli animali dopo la mungitura un atto dovuto. Se non si sa vivere in sintonia con un animale, non si può pretendere di avere da loro rispetto, e se un animale non ha rispetto per il suo padrone, non produrrà né molto, né bene.
Allevare, mungere, caseificare non sono mestieri, sono professioni, stili di vita, rapporti simbionti con la natura e il suo complesso mondo di regole non scritte, ma che un bravo allevatore deve saper capire e conoscere.
26 marzo 2015
“Non è un mestiere ma una professione, quasi un’arte: è la mungitura”: la prima parte del presente articolo è stata pubblicata in questa rubrica giovedì 19 marzo 2015 ed è raggiungibile cliccando qui
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(2) “…Nell’intervallo tra due mungiture successive la pressione idrostatica determinata dall’accumularsi del latte dentro la mammella tende a dilatare la parte prossimale del canale del capezzolo, dove la temperatura è superiore rispetto a quella dello sfintere, e ciò può creare correnti convenzionali in grado di favorire il movimento del latte contaminato nel canale del capezzolo. La modalità di penetrazione più frequente si può tuttavia ricondurre a una moltiplicazione attiva. I microrganismi possono penetrare, moltiplicarsi e invadere la cisterna e il tessuto ghiandolare attraverso l’orifizio del capezzolo che rimane aperto per un certo periodo di tempo dopo la mungitura, o attraverso le lesioni cutanee di origine meccanica, chimica e alimentare. Tra quelle meccaniche si possono ricordare, oltre alle ferite da punture o urti, le lesioni provocate da mungitrici inefficienti con guaine screpolate, vuoto eccessivo o sovramungitura…” (Tratto da “Nuovi concetti di gestione per il miglioramento della qualità del latte”, pagg. 54-55). Per scaricare il documento clicca qui (pdf 7,9Mb ma ne vale davvero la pena, anche se avete una connessione lenta!)
Rosario Petriglieri
Allevatore, figlio d’arte, laureato in Agraria e abilitato Agronomo. Ricercatore presso il CoRFiLaC (Consorzio Ricerca Filiera Lattiero Casearia) di Ragusa, è specializzato in nutrizione, management e gestione degli allevamenti di vacche da latte. Maniscalco specializzato in cura delle patologie podali dei bovini; inseminatore laico. Sin dall’infanzia si è occupato di vacche da latte, lavorando nell’azienda di famiglia. Da sempre nutre la passione per la veterinaria, ma i percorsi storici e certi incontri occorsi in particolari periodi di crescita lo hanno portato ad interessarsi di prevenzione, mediante nutrizione e gestione, piuttosto che puntare alle sole terapie.
Petriglieri ha vissuto tutte le stagioni dell'”evoluzione” del mondo zootecnico, passando dai periodi più faticosi del coltivare la terra con i muli sino all’impiego dei trattori più avanzati; dal sistema manuale di raccolta dei foraggi sino alla gestione di ogni tipo di conservazione più moderna degli stessi (tecniche di insilamento e fieno silo; trebbiatura del frumento con i muli; impiego della mietitrebbia). Per quanto concerne la mungitura, dalla quella manuale delle vacche e delle pecore, sino alla gestione di aziende dotate di robot di mungitura. Sulla trasformazione del latte: da quella della sua azienda familiare sino alla gestione di una cooperativa di 250 soci.
Petriglieri ama definirsi “contrario a qualsiasi forma di eccesso, ma mi piace immedesimarmi negli animali che gestisco, per rendere loro fisiologico qualsiasi trattamento gestionale a cui devono essere sottoposti”. Ha una predilizione per le pratiche naturali, estensive ed ecosostenibili.