L’annosa questione dell’acqua nel latte: oltre la natura, le frodi. E non solo

di Rosario Petriglieri, dottore in agraria

A volte può anche accadere al più onesto degli allevatori che, mungendo magari a mano, in una giornata di forte pioggia, il latte si adacqui senza poter fare nulla per evitarlo

Il latte è il prodotto delle ghiandole mammarie, presenti – a livello toracico o addominale – nelle femmine dei mammiferi. Esso deriva dalla mungitura regolare e ininterrotta di animali in buono stato di salute, ben alimentati ed in corretta lattazione. La produzione di latte inizia in seguito al parto, per assicurare ai nati la basilare forma di alimentazione.

Il semplice termine “latte”, quando non  seguito da alcun aggettivo, sta ad indicare il latte di vacca. Nel caso di latti di altre specie viene sempre precisata la specie di origine: latte di capra, di pecora, d’asina, di bufala.

Dal punto di vista della sua composizione, il latte è costituito in massima parte di acqua (87% circa), acqua in cui si trovano in soluzione e in sospensione diversi composti quali:
– grassi, per circa il 3,5-4%
– proteine, per circa il 3,2-3,5%
– glucidi, per circa il 5%
– sali minerali, per lo 0.72-0, 75%

Il peso specifico del latte è variabile, da 1,027 a 1,033 kg/lt, ad una temperatura di 20°C e con un punto di congelamento ottimale attorno al valore di -0,55°C, ossia circa mezzo grado sotto gli 0°C.

Proprio sul punto di congelamento del latte ci soffermeremo ora.

In alcuni testi sono presenti intervalli di valore molto ampi, addirittura si leggono indici molto più “alti” che indicano il valore corretto in un range che varia da -0,512°C  fino a -0,55°C. Ovviamente, più il valore si abbassa sotto gli 0°C, più è alto il rischio di annacquamento del latte con acqua(1).

Un interessante grafico sui campioni di latte non conformi degli ultimi quattordici anni registrati dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna

Per chiarezza, i valori ritenuti consoni dall’industria, e anche dalla legislazione, indicano il punto di congelamento “normale” quando questo insiste entro il range compreso tra -0,20°C e -0,56°C. Questo intervallo è ritenuto convenzionalmente corretto, data la presenza in azienda e/o nei centri di stoccaggio del latte di una particolare strumentazione detta “tubolare”, nella quale è prevista la possibilità di annacquamento di acqua dovuto alle cosiddette “spinte”, attività afferenti ai sistemi di gestione e confezionamento, che ora vi spiegherò.

Un impianto di confezionamento del latte presso la cinese Mengniu Dairy – foto Tittenberger – Creative Commons License©

In sostanza, nei tubi degli impianti industriali sono presenti residui di acqua utilizzata per i risciacqui tra una lavorazione e l’altra; quest’acqua andrà inevitabilmente ad “allungare” il latte, così come accadrà che il latte, a fine lavorazione, verrà “spinto” con acqua, prima di procedere al lavaggio delle tubazioni.Il progredire dello sviluppo di impianti asettici, e in particolare la presenza di lunghe tubature, ha portato il legislatore a considerare che un latte è “idoneo” fino a quando esso presenti un valore di -0,517°C, misura limite del grado di adacquamento “tecnologico”. Intorno a tale valore – definito “indice crioscopico” – ruotano non pochi interessi, tant’è che esso si trova ad essere spesso motivo di scontro tra produttori, cooperative e industriali.

Al di là delle disquisizioni tecniche, o dei comportamenti fraudolenti, può accadere che un’azienda si veda richiamare dal suo cliente (raccoglitore, confezionatore) per via di un indice crioscopico superiore a -0,517°C. Quando dette controversie diventano di dominio pubblico, accade quanto di peggio possa accadere, vale a dire che nell’immaginario collettivo passi un messaggio ben più grave, vale a dire che il produttore abbia frodato, annacquando il latte.

In molti casi – vale la pena sottolinearlo –  i produttori coinvolti in queste contestazioni sono soggetti virtuosi, precisi, integerrimi, e questa accusa può risultare infamante oltre che infondata ed arrivare a nuocere sensibilmente sull’immagine dei soggetti coinvolti.

In molti casi poi è accaduto che il controllo sia stato effettuato sul latte appena munto con mungitura manuale, e che il valore sia risultato molto alto, come se il latte potesse essere stato annacquato  “alla fonte” (cosa evidentemente non possibile). Come spiegare un grado di annacquamento del latte direttamente nelle vacche?(2) Su questa bella domanda, che rivelerà prospettive assai diverse tra loro, vi lasciamo nella suspense per qualche settimana. Torneremo la settimana prossima sull’argomento, con qualche rivelazione che sorprenderà più d’uno tra voi.

24 aprile 2015

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(1)  Negli ultimi anni “la quota di campioni non conformi (vale a dire con valori superiori al limite legale di -0,520 °C) si è attestata attorno al 10% ; di fatto questa percentuale appare però progressivamente in crescita negli ultimi anni e potrebbe ricollegarsi appunto alla perdita di importanza di questo parametro dal punto di vista sanitario e normativo. D’altra parte va precisato che la definizione di “non conforme” in questo caso non è da attribuire direttamente e in tutti i casi ad annacquamento del prodotto. Va infatti sottolineato che vengono considerati “non conformi” campioni che superano il limite ufficiale di riferimento ma molti di essi, in particolare nei piccoli allevamenti e quando lo sforamento è di alcuni millesimi di grado soltanto, rientrano nella fisiologica variabilità del latte e non si configurano di fatto come “annacquamenti” (“Punto crioscopico” – Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia ed Emilia Romagna). Per approfondire clicca qui


(2)
“Esistono ancora incertezze sulle relazioni fra le variazioni del punto crioscopico e le caratteristiche del latte che le determinano. Analogamente l’importanza dei fattori genetici e ambientali nel determinismo di tali variazioni è ancora oggi oggetto di discussione. I fattori stagionali, il caldo estivo in particolare (Bernabucci e Calamari, 1997), l’intervallo di tempo fra le mungiture, nonché gli orari delle mungiture stesse in relazione con l’andamento dell’ingestione idrico-alimentare nel corso della giornata (Bertoni et alii, 1995) sono alcuni dei fattori finora indagati” (da “Ricerche su talune cause di variazione del punto crioscopico del latte di bovine di razza Frisona Italiana” di Azienda Sperimentale V. Tadini di Piacenza; IZSLER di Piacenza). Per scaricare il documento clicca qui (pdf, 569kb)

Dottore in Scienze Agrarie, abilitato agronomo at dipendente CoRFiLaC (Consorzio Ricerca Filiera Lattiero-Casearia) di Ragusa); libero professionista

Rosario Petriglieri
Allevatore, figlio d’arte, laureato in Agraria e abilitato Agronomo. Ricercatore presso il CoRFiLaC (Consorzio Ricerca Filiera Lattiero Casearia) di Ragusa, è specializzato in nutrizione, management e gestione degli allevamenti di vacche da latte. Maniscalco specializzato in cura delle patologie podali dei bovini; inseminatore laico. Sin dall’infanzia si è occupato di vacche da latte, lavorando nell’azienda di famiglia. Da sempre nutre la passione per la veterinaria, ma i percorsi storici e certi incontri occorsi in particolari periodi di crescita lo hanno portato ad interessarsi di prevenzione, mediante nutrizione e gestione, piuttosto che puntare alle sole terapie.
Petriglieri ha vissuto tutte le stagioni dell'”evoluzione” del mondo zootecnico, passando dai periodi più faticosi del coltivare la terra con i muli sino all’impiego dei trattori più avanzati; dal sistema manuale di raccolta dei foraggi sino alla gestione di ogni tipo di conservazione più moderna degli stessi (tecniche di insilamento e fieno silo; trebbiatura del frumento con i muli; impiego della mietitrebbia). Per quanto concerne la mungitura, dalla quella manuale delle vacche e delle pecore, sino alla gestione di aziende dotate di robot di mungitura. Sulla trasformazione del latte: da quella della sua azienda familiare sino alla gestione di una cooperativa di 250 soci.
Petriglieri ama definirsi “contrario a qualsiasi forma di eccesso, ma mi piace immedesimarmi negli animali che gestisco, per rendere loro fisiologico qualsiasi trattamento gestionale a cui devono essere sottoposti”. Ha una predilizione per le pratiche naturali, estensive ed ecosostenibili.