di Rosario Petriglieri, dottore in agraria

I bovini sono animali semplicemente onesti. Le bovine poi, non fanno nulla per illudere i loro padroni di poter produrre di più di quanto producano, e di certo non aggiungono acqua al loro latte. Ma allora, dov’è l’inghippo attorno alla questione dell’indice crioscopico? Cos’è che può comportare un innalzamento del punto di congelamento del latte spostandolo verso lo zero (0°C)? Per quali ragioni e quando le vacche danno un latte più ricco d’acqua?(1)
Innanzitutto va preso in considerazione il periodo in cui il problema si manifesta: solitamente all’inizio dei periodi caldi o durante l’estate; altre volte poi, nei casi di stress diffuso nella mandria. Quello che accade nella fisiologia degli animali è risaputo, ma troppo spesso trascurato. Condizioni di stress, soprattutto se associate ad un clima eccessivamente caldo (oltre i 28°C, con un alto tasso di umidità), comportano inevitabilmente una perdita di sali minerali da parte dell’organismo.(2)

Gli animali – e qui permettetemi una battuta – che non possono procurarsi bevande energetiche, subiscono le condizioni estreme e reagiscono inviando messaggi chiari e inconfutabili, che non tutti purtroppo sono in grado di capire. Essere dei buoni allevatori non è certo cosa da tutti.
Una perdita repentina di sali minerali da parte dell’organismo comporta l’esigenza, nel bestiame, di “stoppare” una diminuzione dei sali sotto una soglia-limite oltre la quale potrebbero insorgere problemi fisiologici. Di riflesso, l’organismo della vacca attiva un meccanismo di difesa che mira a trattenere detti sali.
Tutti i sali minerali sono coinvolti, certo. Tuttavia il principale ad esserlo, quello che più di altri genera il problema, è il Sodio (Na), che entra nella fisiologia delle trasmissioni nervose e viene espulso con le urine e mediante la saliva. La saliva tuttavia rappresenta un elemento di fondamentale importanza, svolgendo un ruolo di tampone fisiologico e naturale del rumine vaccino.
Al contempo, la carenza di Sodio comporta anche una minore assimilazione di altri minerali, e il meccanismo di difesa delle bovine fa sì che si riducano le sue concentrazioni nel plasma, e di conseguenza anche nel latte.

Il latte, con una minore incidenza di sali minerali al suo interno – per quanto appena percettibili in termini quantitativi – subisce comunque una “diluizione”, e questo sposta il punto di congelamento più vicino allo zero (0°C).
Portando un esempio estremo, è come per l’acqua del mare, che congela a diversi gradi sotto lo 0°C: se ad essa aggiungiamo acqua dolce, di fatto diluiamo i sali minerali presenti nell’acqua di mare e alziamo il punto di congelamento verso lo zero (0°C).
Per farla breve, se una vacca vi dà un latte “annacquato”, non vuole fregarvi: vi sta semplicemente dicendo che ha bisogno di sali, e soprattutto di sale. Ovvero di comunissimo NaCl, o sale da cucina.
E credetemi: somministrare ad una bovina che ne abbia necessità un etto di cloruro di sodio al giorno, risolve il problema! Occorre precisare però un altro aspetto: a soffrire di questa tecnopatologia sono sempre e comunque gli animali di più alto valore genetico, allevati in condizioni spesso intensive e alimentati in maniera inadeguata.
Dato che non è colpa di una bovina l’essere nata da una selezione spinta, chi opera nel settore dovrebbe almeno capire cosa e quanto dare da mangiare all’animale per rispettare i fabbisogni minimi della sua fisiologia. E soprattutto: se questi animali non possono scegliere il proprio cibo, bisognerà curare in modo attento e minuzioso il loro benessere reale, garantendo all’animale ciò che l’animale saprebbe scegliere di per sé.
Ma c’è dell’altro: su questa stessa falsariga troviamo infatti anche la problematica delle vacche che producono latte con un elevato indice di cloruri.
I cloruri nel latte dovrebbero essere compresi all’interno di un intervallo di 187-200 mg/lt (qualche industria pone anche limiti inferiori). Nelle regioni calde (in cui gli allevamenti possono essere sottoposti a situazioni climatiche di maggiore stress) e negli allevamenti con alimentazione non curata, prima che possa insorgere il problema di “annacquamento” del latte, si può verificare la presenza di latte “ricco” di cloruri. L’industria persegue il fenomeno del latte ricco di cloruri ritenendo, impropriamente (ma le fa comodo così, scontandolo sul prezzo), che questo valore possa essere alto per l’aggiunta fraudolenta di sale nel latte (da parte di allevatori intenzionati a camuffare l’annacquamento).
In realtà il problema non è quasi mai di questo tipo, ma si riconduce alla stessa trattazione delle problematiche prima esposte. A pensarci bene potremmo anche capire, dall’esperienza quotidiana, che le vacche ci vogliano far intendere di non apprezzare il sistema di allevamento a cui sono sottoposte, e che preferirebbero essere allevate in modo più consono alle loro esigenze. Ma per capire questi “messaggi” ci vuole molta cultura, e molto feeling con gli animali. Intenderli come esseri animali, per l’appunto, e non come macchine da latte.
Una cosa si potrebbe suggerire all’allevatore disattento, o più spesso “ingordo”: piuttosto che fidarti dei mangimifici, delle industrie, dei tecnici o degli pseudo-tali, comincia a fidarti dei tuoi animali: loro sanno cosa sia bene e cosa no, per loro stessi. E lo sanno più di chiunque altro a questo mondo giuri di saperlo.
30 aprile 2015
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(1) “Milk freezes at a lower temperature than water. The average milk cryoscope freezing point reading on raw milk in most areas is about 540 (-0.540°). The average reading for your area is what is called your “base” freezing point. Pure water should have a freezing point of 000. The addition of water to milk changes its freezing point toward the freezing point of water. The difference between 0% and 100% added water is the difference between your base and 000. 1 % added water is 1% of this difference…” (estratto da “Added Water and the Freezing Point of Milk” – Edited by “Advanced Instruments, Inc. – Massachusetts Usa 1995 www.aicompanies.com). Per scaricare il document (pdf, 1,6Mb) clicca qui
(2) “Feed shortages are relatively frequent in subtropical pasture-based dairy production systems. The effect of feed restriction on milk yield and physical-chemical traits was evaluated in this study. The experiment was carried out in Brazil’s south region. Treatments consisted of control and restricted diet. Six multiparous and six primiparous cows, with 499 ± 47.20 kg body weight (BW), at mid-lactation (188 ± 124 days in milk), producing 19.35 ± 4.10 kg of milk were assigned to two groups, balanced for parity, each group receiving a different sequence of the dietary treatments for 56 days, in a crossover design” Tratto da “Feeding restriction impairs milk yield and physicochemical properties rendering it less suitable for sale” di Vilmar Fruscalso; Marcelo Tempel Stumpf; Concepta Margaret McManus; Vivian Fischer – UFRGS/Faculdade de Agronomia – Depto. de Zootecnia – Porto Alegre – Brasil (per la versione integrale, clicca qui
Rosario Petriglieri
Allevatore, figlio d’arte, laureato in Agraria e abilitato Agronomo. Ricercatore presso il CoRFiLaC (Consorzio Ricerca Filiera Lattiero Casearia) di Ragusa, è specializzato in nutrizione, management e gestione degli allevamenti di vacche da latte. Maniscalco specializzato in cura delle patologie podali dei bovini; inseminatore laico. Sin dall’infanzia si è occupato di vacche da latte, lavorando nell’azienda di famiglia. Da sempre nutre la passione per la veterinaria, ma i percorsi storici e certi incontri occorsi in particolari periodi di crescita lo hanno portato ad interessarsi di prevenzione, mediante nutrizione e gestione, piuttosto che puntare alle sole terapie.
Petriglieri ha vissuto tutte le stagioni dell'”evoluzione” del mondo zootecnico, passando dai periodi più faticosi del coltivare la terra con i muli sino all’impiego dei trattori più avanzati; dal sistema manuale di raccolta dei foraggi sino alla gestione di ogni tipo di conservazione più moderna degli stessi (tecniche di insilamento e fieno silo; trebbiatura del frumento con i muli; impiego della mietitrebbia). Per quanto concerne la mungitura, dalla quella manuale delle vacche e delle pecore, sino alla gestione di aziende dotate di robot di mungitura. Sulla trasformazione del latte: da quella della sua azienda familiare sino alla gestione di una cooperativa di 250 soci.
Petriglieri ama definirsi “contrario a qualsiasi forma di eccesso, ma mi piace immedesimarmi negli animali che gestisco, per rendere loro fisiologico qualsiasi trattamento gestionale a cui devono essere sottoposti”. Ha una predilizione per le pratiche naturali, estensive ed ecosostenibili.