L’urea nel latte: fattori alimentari e ripercussioni sulla produzione casearia

di Rosario Petriglieri, dottore in agraria

Laboratorio di analisi del latte – foto Regione Valle d’Aosta®

L’urea è un composto chimico organico – presente, ad esempio, nel sangue, nel sudore e nell’urina umani – ma può essere sintetizzata in laboratorio per vari usi, tra cui quello di fertilizzante. L’urea di cui ci occupiamo qui oggi è quella che viene escreta dai ruminanti in lattazione mediante il latte. L’urea nel latte(1) rappresenta un indice di misura circa l’eccesso o la carenza di proteina nella dieta del ruminante. Trattasi di un coefficiente tecnico, che viene impiegato dai nutrizionisti per monitorare la funzionalità ruminale, la corretta formulazione della dieta e l’eventuale risposta degli animali a quel tipo di alimentazione.

Esistono diverse teorie, circa la misura dell’efficienza ruminale legata al tasso di urea nel latte; quelle più accreditate a livello internazionale danno un indice di riferimento racchiuso nel range che va da 23 a 35 mg/dl, con un optimum che va da 27 a 32 mg/dl nel latte di bovine.

Campo sperimentale di leguminose – foto Provincia del Medio Campidano®

In termini semplicistici, il livello di urea nel latte dei ruminanti rappresenta una misura dell’incidenza delle proteine nella dieta dell’animale, e soprattutto del “tipo” di proteine. In termini un tantino più “tecnici”, il livello di urea nel latte rappresenta l’equilibrio in ambiente ruminale tra le fonti azotate e i carboidrati, la loro azione sinergica nello sviluppo dei batteri ruminali e la loro ottimale azione sinergica nella produzione di metaboliti(2).

L’alimentazione a base di erba, specie se tenera e al pascolo, tende ad alzare il livello di urea del latte; questo è dovuto principalmente alla ricchezza di proteine dell’erba – specialmente di proteine “solubili” – e alla presenza di azoto non proteico nella stessa. Inoltre, la fibra dell’erba, essendo molto tenera e poco strutturata, non consente elevate produzioni di carboidrati a livello ruminale. Questo insieme di fattori fa sì che si verifichi un innalzamento di urea nel latte. 

Per contro, l’eventuale alimentazione a base di fieni, specialmente se fieni grossolani e duri, accompagnati anche a mangimi ad alta concentrazione di amidacei, comporta un inevitabile abbassamento dell’urea nel latte.

Vacche in un pascolo di leguminose – foto Myherloomseeds.com©

A prescindere da quanto riscontrabile in bibliografia, e facilmente consultabile, è comunque opportuno cercare di trovare un adeguato equilibrio nelle digestioni ruminali, non tanto per favorire produzioni quantitativamente e qualitativamente superiori, bensì per salvaguardare la salute degli animali.

Un animale in salute produce bene, di qualità e vive a lungo. Questa semplice equazione basta a smorzare tutti i tecnicismi mirati a massimizzare le produzioni senza curarsi della salute degli animali.

In genere trascurate o poco trattate dai testi, sono l’azione e l’incidenza dell’urea nel latte per ciò che concerne la caseificazione. 

Tutto sommato poco importante per la produzione industriale di formaggi, dove il latte viene miscelato e trattato, sempre pastorizzato e addizionato con miscele di fermenti per raggiungere artificiosamente il “giusto” equilibrio.

Urea – Medie annuali rilevate dall’Izsler nel periodo 1999-2014

Cosa diversa è invece l’incidenza nella produzione casearia tradizionale, dove le fermentazioni si sviluppano in modo autoctono e autonomo. In questi casi, a seconda del tipo di prodotto che si intende realizzare, si possono riscontrare problematiche anche di non poco conto. Le difficoltà possono essere dovute ad esempio all’alterazione dell’acidità del latte che può comportare una coagulazione lenta; così come possono verificarsi delle alterazioni nella maturazione della cagliata, che in fase di “cottura” può tendere a galleggiare nel siero. 

L’ambito poi in cui l’urea nel latte riesce a manifestare la sua incidenza in maniera più eclatante è quello della produzione di ricotta. In molti casi, specie se non si adoperano aggiunte di acidificanti, un basso livello di urea nel latte comporta una non ottimale aggregazione dei flocculi di ricotta, a cui corrisponderà una evidente opacità della scotta, l’eccessiva “mollezza” della ricotta stessa e una ridotta resa del siero. Un aumento dell’urea nel latte, ovvero il riflesso di una alimentazione più ricca di proteine e soprattutto di proteine ad alta solubilità (erba fresca), permette un aumento dell’urea nel latte e di riflesso un’ottimizzazione della resa in ricotta, con un miglioramento della sua consistenza e una scotta opportunamente esausta.

21 maggio 2015

___


(1)  “L’urea è una molecola che viene a formarsi nel fegato e nel rene a partire dall’ammoniaca (NH3), a sua volta prodotta dalla degradazione delle proteine grezze nel rumine. Quando nel rumine è presente troppa proteina degradabile, l’ammoniaca che non viene utilizzata dai microrganismi passa attraverso la parete ruminale nel flusso sanguigno, giungendo al fegato, dove viene convertita in urea; questa conversione è assai importante, essendo l’ammoniaca tossica per l’organismo, mentre l’urea non causa problemi in tal senso e viene poi escreta dal corpo con le urine. Nei ruminanti esiste anche la possibilità di riciclare l’urea tramite la saliva e/o la diffusione diretta attraverso la parete ruminale, cosa molto utile nel caso in cui la razione sia carente di proteine” – Tratto da Mondolatte.it – “Il significato dell’urea nel latte”; per leggere tutto clicca qui


(2) Si dice “metabolica” il prodotto del processo del metabolismo: una volta assimilata dall’organismo, una sostanza subisce un processo di trasformazione che ha la funzione di rendere la sostanza stessa più facilmente assorbibile e/o eliminabile

 

Sitografia

“Contenuto e variabilità di urea nel latte massale e sua relazione con alcuni parametri di significato tecnologico caseario” di Castagnetti G.B., Cuoghi F., Gambini G. – Università degli Studi di Bologna – Dipartimento di Protezione e Valorizzazione Agroalimentare – Sezione di Chimica e tecnologia degli Alimenti. Per scaricare il documento clicca qui

“Monitoraggio del contenuto di urea nel latte massale prodotto in allevamenti nell’ambito della zona del comprensorio del formaggio Parmigiano-Reggiano” di Castagnetti G.B., Cuoghi F., Gambini G. – Università degli Studi di Bologna – Dipartimento di Protezione e Valorizzazione Agroalimentare – Sezione di Chimica e tecnologia degli Alimenti. Per scaricare il documento clicca qui

Dottore in Scienze Agrarie, abilitato agronomo at dipendente CoRFiLaC (Consorzio Ricerca Filiera Lattiero-Casearia) di Ragusa); libero professionista

Rosario Petriglieri
Allevatore, figlio d’arte, laureato in Agraria e abilitato Agronomo. Ricercatore presso il CoRFiLaC (Consorzio Ricerca Filiera Lattiero Casearia) di Ragusa, è specializzato in nutrizione, management e gestione degli allevamenti di vacche da latte. Maniscalco specializzato in cura delle patologie podali dei bovini; inseminatore laico. Sin dall’infanzia si è occupato di vacche da latte, lavorando nell’azienda di famiglia. Da sempre nutre la passione per la veterinaria, ma i percorsi storici e certi incontri occorsi in particolari periodi di crescita lo hanno portato ad interessarsi di prevenzione, mediante nutrizione e gestione, piuttosto che puntare alle sole terapie.
Petriglieri ha vissuto tutte le stagioni dell'”evoluzione” del mondo zootecnico, passando dai periodi più faticosi del coltivare la terra con i muli sino all’impiego dei trattori più avanzati; dal sistema manuale di raccolta dei foraggi sino alla gestione di ogni tipo di conservazione più moderna degli stessi (tecniche di insilamento e fieno silo; trebbiatura del frumento con i muli; impiego della mietitrebbia). Per quanto concerne la mungitura, dalla quella manuale delle vacche e delle pecore, sino alla gestione di aziende dotate di robot di mungitura. Sulla trasformazione del latte: da quella della sua azienda familiare sino alla gestione di una cooperativa di 250 soci.
Petriglieri ama definirsi “contrario a qualsiasi forma di eccesso, ma mi piace immedesimarmi negli animali che gestisco, per rendere loro fisiologico qualsiasi trattamento gestionale a cui devono essere sottoposti”. Ha una predilizione per le pratiche naturali, estensive ed ecosostenibili.