Formaggi senza culture nella visione elitaria di Micromega

La presenza del formaggio nelle culture locali è testimoniata nella letteratura e nell’arte da un’infinità di scritti e incisioni

Se c’è un libro che l’esimio professor Edoardo Lombardi Vallauri deve aver trascurato nella sua sconfinata preparazione personale ed accademica, quello è sicuramente Palomar di Italo Calvino. A chi lo abbia letto, a chi ne abbia colto i fondanti valori culturali e antropologici, sarà chiara sin dalle prime righe di questo articolo l’allusione al delizioso “Museo dei formaggi”, che di quel volume è, oltre che un capitolo, una parte vitale ed essenziale del racconto complessivo.

Ma si sa, gli accademici parlano parlano, e poi scrivono. A volte di cose che non sanno del tutto, altre volte imprimendo nel loro scritto non tanto o solo una propria cifra stilistica ma la loro personale e confutabile opinone. Un esercizio che andrebbe mantenuto, libero e pacifico, nella sfera del confronto di idee, che giammai andrà fatto sfociare nel tentativo di imporre una propria visione, distorta e ingannevole ove basata su visioni parziali o pregiudizio. Diciamo questo riferendoci al recente “Le parole della laicità – Cultura (del formaggio)” che il linguista fiorentino si è visto pubblicare, il 19 dicembre scorso, da Micromega/La Repubblica.

L’articolo, che prende a pretesto il mondo del formaggio per liberare qualche comprensibile intemperanza dell’autore nei confronti del dilagare di recensioni iperboliche su cibo e vino (scrive il Vallauri: “i discorsi mi sembrano spesso inconsistenti: “un rosso nobile che sente il muschio, la torba e la ruggine”), dimostra che anche le persone cólte possono avere lacune serie, per non dire preoccupanti. E che possono trascurare la vastità di un mondo a tal punto da non riuscire a comprendere che una qual cosa – ad esempio un formaggio autenticamente rurale, locale e di antiche origini – possa essere non solo carico di cultura, ma anche di storia e antropologia. Formaggi alle spalle dei quali c’è tanta di quella scienza dell’umanità che il disquisirne – volendo – sarebbe altrettanto possibile quanto lo è con le tematiche da salotto a cui i suddetti son certamente avvezzi.

Il pezzo, che potete leggere cliccando qui, mette a nudo qualche problema interiore di cui il Vallauri immaginiamo soffra, nei confronti di un mondo a suo modo di vedere semplice e modesto – quello del cibo – e più in particolare verso un’eccessiva importanza che l’alimentazione, riduttivamente intesa dall’autore come mera necessità di cibarsi per sopravvivere, avrebbe ottenuto in questi ultimi anni. E questo anche perché ormai da qualche tempo, sottolinea l’autore del pezzo, i progetti di valorizzazione territoriali riescono a intercettare finanziamenti destinati alla cultura grazie proprio ai loro peculiari prodotti che quei territori esprimono (“l’idea che mangiare e bere sia cultura”, scrive il Vallauri, “si è così abilmente insediata nella narrazione collettiva, che ormai perfino le pubbliche amministrazioni possono presentare come sostegno alla cultura le sovvenzioni che erogano o comunque il sostegno che forniscono a imprese semplicemente commerciali…”). Chissà che all’esimio professore la lingua non stia battendo là dove il dente duole.

Ma un filo di speranza vogliamo conservarlo, oggi, nei confronti di quell’ambiente spocchioso a cui Vallauri sembra volersi rivolgere: chissà che un giorno l’interesse dei cólti ed elitari accademici e dei loro seguaci non vada alle origini della civiltà, vale a dire a quella Mezzaluna Fertile da cui l’evoluzione della specie umana ebbe una significativa svolta, attraverso la domesticazione animale e il cibo da essa finalmente prodotto. L’idea d’una migrazione epocale che da quelle terre si dipanò per il mondo, attraverso una vera e propria epopea transumante sottende una diversità produttiva che affiora dalle migliaia di formaggi veri ancor oggi (r)esistenti. Formaggi prodotti da diverse genti e diverse specie e razze animali, in differenti contesti climatici, ambientali. E culturali.

Solo attraverso una lettura che allunghi lo sguardo al di là del proprio naso e dei propri e soggettivi limiti sarà possibile vedere, oltre i formaggi in sé stessi, oltre i presumibili archetipi che sono alle loro spalle, il senso della straordinaria stratificazione di diversissimi saperi che ognuno di essi porta con sé.

15 gennaio 2018