Le invettive di Marcomini al Prof. Grandi sbarcano alla fiera del libro di Milano

Le invettive di Alberto Marcomini al Professor Grandi dell’Università di Parma e al settimanale Oggi – immagine da Facebook©

“Signori e signore, ladies and gentleman, madames et monsieurs, udite udite oggi in Italia è nato un nuovo fenomeno, si chiama Alberto Grandi, che di grande non ha nulla”. Esordiva così, il 10 marzo scorso, un post sulla bacheca Facebook di Alberto Marcomini, personaggio della scena pubblica lattiero-casearia italica, pubblicista e promotore di fiere e iniziative promozionali per le aziende del settore. Che ad un tratto, con parole di inaudita veemenza, respingeva – evidentemente ancor prima di leggerle – le tesi espresse dal docente universitario mantovano, nel suo recente libro “Denominazione di Origine Inventata”, edito da Mondadori e in circolazione da pochi giorni nelle librerie italiane.

“Leggo sul settimanale Oggi”, proseguiva l’invettiva di Marcomini, “la sua teoria sulla leggenda della cucina italiana. Il fenomeno sostiene che le nostre specialità siano tutta un’invenzione a partire da prosciutto e formaggi”: una chiave interpretativa non corretta, il che parrebbe evidente a chi volesse impegnarsi nella lettura anche solo di una o due delle tante recensioni che il libro sta ottenendo dalla stampa nazionale italiana.

A dire il vero basterebbe soffermarsi anche solo sulle titolazioni dei giornali (“Il made in Italy alimentare? Poca tradizione, molto marketing”, “Denominazione di Origine Inventata, un libro sul mito dei prodotti tipici”, “Il vero Parmigiano Reggiano è quello del Wisconsin” e poi qui e qui, solo per citarne alcuni) per capire che le tesi dell’accademico, docente di Storia Economica all’Università di Parma, sono ben altre, sostanziose, e più che fondate per poter essere scalfite da un’aggressione verbale peraltro non argomentata, ma solo carica di livore per teorie non controvertibili, alla base delle quali è evidente un assunto: vale a dire che l’istituto dei marchi di protezione (Dop, Igp, Stg) ha portato nel tempo alla reinterpretazione di “ricette” (disciplinari di produzione) che, mutamento dopo mutamento, hanno portato molti prodotti a distanze siderali rispetto alle produzioni storiche da cui i medesimi originerebbero e a cui spesso – è il caso di dirlo – semplicemente si ispirano.

Sarebbe bastato pensare alla tanto auspicata congelazione della Mozzarella di Bufala Campana (dal consorzio di tutela, sic, ndr), al lisozima presente in molti formaggi Dop, figlio di un’alimentazione (silomais) non praticata nei secoli passati, al Pecorino Toscano di forma squadrata, o semplicemente alla pastorizzazione, che prima di Pasteur certamente non esisteva. E l’elenco delle difformità dei prodotti di oggi, rispetto a quelli delle origini, sarebbe assai più lungo e significativo se solo lo si volesse produrre. E sosterrebbe, passo dopo passo, tutte le tesi addotte dal Professor Grandi.

Fatto sta quindi che l’Alberto caseario nazionale s’è fatto prendere la mano, come a volte capita sui social, quando si sa di poter contare sui clic facili di molti amici. Forse complice il successo che accompagna le sue ultime iniziative (Formaggi in Villa sembra funzionare, almeno dal punto di vista commerciale, un po’ meno a nostro avviso l’Italian Cheese Award, che nell’ultima edizione ha un po’ perso l’iniziale capacità di scoprire nuovi talenti), forse il personalissimo carattere, Marcomini ha così affondato colpi su colpi nell’invettiva che non ha risparmiato il settimanale milanese “Oggi”, reo di aver concesso spazio e credibilità alle tesi dello storico: “Credo che sia l’ora di finirla”, ha infatti scritto Marcomini, “e mi meraviglio della serietà della rivista, che si possano ancora affermare queste puttanate”.

“Vero è”, ha aggiunto il pubblicista padovano, “che molti pseudo esperti ed altro siano al soldo delle multinazionali, ma è ora di finirla di gettare fango sulle nostre tradizioni secolari legate al duro lavoro di bravi artigiani. Mi sorgono molti dubbi su chi ha istigato il fenomeno a dire queste cazzate (riferiamo integralmente per dovere di cronaca: ci perdonino i lettori per l’eloquio sì forbito, ndr), ma forse non ho dubbi, soprattutto sul Parmigiano Reggiano o il prosciutto di Parma, o sui pomodori Pachino, e altri prodotti simbolo del nostro paese”.

“Sono in attesa di un altro fenomeno”, ha concluso Marcomini nella sua invettiva, aggiungendo che “oramai ne siamo abituati, ma se tutto ciò serve per vendere copie del giornale, mal venga, e una botte di liquame di vacche che producono il latte per le nostre eccellenze, discenda su di loro e rimanga per sempre !!”.

Il racconto di Grandi si fa ora più ricco di argomenti

Giunto a conoscenza degli insulti ricevuti, il professore dell’Università di Parma avrebbe deciso non tanto (o non solo) di citare in giudizio il Marcomini per danni d’immagine, quanto di raccontare l’increscioso episodio nel corso delle prossime presentazioni del libro. A partire da quella in programma giovedì 8 (ore 18) a “Tempo di Libri”, nientepopodimenoche la fiera dell’editoria in programma a Fieramilano di Rho. Nulla di cui preoccuparsi, forse, per l’aggressore, che però – non volendo – ha fornito nuovi argomenti all’accademico mantovano. Argomenti utili a completare il racconto del sistema che ruota attorno alle Dop, ai consorzi e a produzioni che talvolta di tipico e storico conservano assai poco, ivi incluso un aplomb che nell’epoca dei social appare ormai merce rara.

A proposito di social media ed etichetta, oltre le esternazioni che denotano la debolezza delle tesi del Marcomini (chissà cosa ci riserverebbe un contraddittorio tra lui e il Professor Grandi!, ndr), ci ha assai stupito il consenso che la sua esternazione insultante ha ricevuto su Facebook da parte di stimatissimi attori della scena agroalimentare italiana di qualità, dai produttori di formaggi Nunzio Marcelli (che ha commentato con un “Perché… quando la volpe non riesce a cogliere l’uva dice che non è buona?”) e Patrizia Vanelli (“Complimenti :D”), come anche dallo stimato agronomo Maurizio Gily (che ha definito Grandi “Un asino in cerca di visibilità”).

E poi ancora da vari altri – e da noi stimati anch’essi – Gilberto Arru (“È l’era dei gastrofighetti, sparare cazzate per attirare l’attenzione. Non mi stupisco più di nulla, neanche di direttori imbecilli. Ricordi velinitaly la copertina de l’espresso uscita il giorno prima del Vinitaly? Tutto per vendere qualche copia in più, forse!”), Riccardo Collu (“non sprechiamo il letame che invece messo nell’orto può contribuire a dare buone cose ;)”), Maurizio Fava (“la serietà della rivista? ah ah ah”) e Marco Oreggia Flos Olei (“Purtroppo capita sempre più spesso anche nel mio segmento… l’olio evo!” Se hai una seconda botte io la prenoto!!”), solidarietà e consenso sono stati espressi da essi all’aggressore, non all’aggredito.

Tutti operatori – come detto – da noi assai apprezzati, che si sono sbilanciati ben oltre la soglia di rischio (il rischio di una brutta figura, per affermazioni espresse sulla fiducia riposta in Marcomini, evidentemente pronunciate senza prendere visione della materia del “contendere”, ndr) facendo implicitamente propria un’aggressione che, per quanto verbale, oltre al livore ha dimostrato una grande inconsistenza.

Nella certezza che il pubblicista padovano si terrà alla larga da un confronto con il Professor Grandi (il calendario delle presentazioni è ricco e gli incontri sono pubblici, quindi non mancherebbero occasioni, volendo), ci piace pensare che una parte almeno di questi stimati professionisti e imprenditori possa decidere di ricredersi, accogliendo le solidissime tesi dello storico economico mantovano. A ben guardare, ed oggi più di ieri, il ripensamento è un’arte a cui pochi sono avvezzi, ed è anche dalla capacità di farlo proprio che si misura lo spessore del genere umano.

5 marzo 2018

Chi sia registrato su Facebook dovrebbe poter raggiungere il post incriminato di Alberto Marcomini, cliccando qui. Buona (si fa per dire) lettura!