La zootecnia da latte è in crisi – lo si dice da anni – ed è stato con la fine del regime delle quote latte che il mercato in Europa è letteralmente uscito fuori da ogni controllo possibile, facendo segnare un po’ ovunque un incremento delle produzioni che ha innescato vari fenomeni involutivi, riscontrabili tutt’oggi sui mercati internazionali.
Due tra tutti, di cui poco si parla, purtroppo, sono l’incremento incontrollato dei simil-grana, prodotti spesso dagli stessi caseifici che fabbricano Grana Padano (ne parlammo nel gennaio scorso; leggi qui), e l’indecente dumping che l’Europa sta compiendo con il suo latte in polvere persino sul mercato africano (leggi qui, in lingua francese). Dumping che sta mettendo in ginocchio economie già di per sé fragilissime.
Nonostante l’insostenibilità oggettiva della situazione, a volte ingovernabile agli stessi gruppi industriali e di certo lesiva di economie di per sé già fragili, il sistema che governa il mercato della zootecnia intensiva muove ancora le sue pedine come niente fosse, facendo il bello e il cattivo tempo. Un tempo che, come sempre, gli allevatori continuano a vivere in balìa di scelte e strategie altrui, ammaestrati alle nuove teorie aberranti di un produttivismo che continua a gettare sul mercato proposte palesemente senza futuro, com’è quella denominata “zootecnia di precisione”.
Più volte si è sentito dire, da più parti, che gli allevatori producono in perdita, che molti di loro cessano le proprie attività – se già non lo hanno fatto – strozzati da debiti e assenza di prospettive.
La logora retorica delle super-mucche
Nonostante una crisi di cui al momento non si vede soluzione, stante una minima parte di produttori che per scelta o per necessità hanno preso la strada del ritorno all’erba, potendone disporre, c’è accora chi spinge per le iperproduzioni, decantando le cosiddette “super-mucche dalle mammelle d’oro”.
Uno tra i tanti a tessere le lodi di queste realtà aberranti, ultimo ma solo in ordine di tempo, è stato, martedì scorso, il quotidiano Brescia Oggi, che proprio ad una super-mucca ha dedicato attenzione, decantandone “roboanti doti”.
Il pezzo del giornale bresciano, raggiungibile dal link posto in calce a questo nostro articolo, parla senza mezzi termini di una “latteria a quattro zampe”, nata da una “stirpe di campionesse”, “frutto di 20 anni di selezioni genetiche”, ma anche di “tanto lavoro” e di “tanta sapienza”.
Più in particolare, soffermandosi sul singolo esemplare a cui il pezzo è dedicato – una vincitrice di premi ai concorsi di produttività – l’animale in questione (Nozzifarm, per gli amici Nozzy, ndr) viene descritto nei minimi disarmanti dettagli, caratterizzato da “mammelle poderose”, “in grado di produrre 50 litri di latte al giorno”. Insomma, una super-mucca con cui i suoi proprietari – la famiglia Salvoni di Chiari – sono riusciti a vincere innumerevoli premi.
Una macchina da latte decantata quindi all’interno di logiche non più proponibili oggigiorno. Una genetica spinta che, superato il tempo in cui il produrre tanto era un fattore apprezzato da molti, non appare avere più molto senso. L’articolo appare non convincere, tanto quanto poco convincente appare la spinta residua di chi ancora invita ad aumentare le produzioni, in un mercato che di latte ne produce sin troppo, pagandolo però troppo poco.
A chi conviene tutto ciò, quindi? Né al consumatore, purtroppo (il profilo dei grassi del latte parla chiaro, a saperlo leggere, e il latte dev’essere quello dell’erba e del fieno, ndr), né tantomeno all’allevatore che voglia garantirsi un futuro. Il futuro sostenibile non è nelle quantità bensì nelle qualità. Bisogna produrre meno ma produrre meglio, se ci si vuole garantire un domani meritevole di essere vissuto.
12 marzo 2018
L’articolo “La super mucca dalle mammelle d’oro”, pubblicato da Brescia Oggi è leggibile cliccando qui