“Grazie al suo alto tenore di acidi grassi Omega3, il latte delle vacche nutrite con l’erba sta diventando sempre più attraente per i consumatori”. Ad affermarlo sono stati i ricercatori di tre istituti scientifici statunitensi, il “Leopold Center for Sustainable Agriculture” (Centro Leopold per l’Agricoltura Sostenibile), lo US Department of Energy’s Ames Laboratory (Laboratorio del Dipartimento Usa per l’Energia di Ames, nello Iowa) e la Iowa State University, che di recente hanno pubblicato uno studio intitolato “Using Fluorescence Spectroscopy To Identify Milk from Grass-Fed Dairy Cows and To Monitor Its Photodegradation” (“Utilizzo della spettroscopia di fluorescenza per identificare il latte da vacche allevate a erba e monitorare la sua fotodegradazione”).
L’obiettivo principale dei ricercatori era quello di identificare le origini di tali prodotti e di misurarne il contenuto rispetto ad alcuni principali standard. A differenza di quanto fatto in precedenza, quando per esami del genere era stata utilizzata la cromatografia, questa volta gli studiosi hanno deciso di basare il loro lavoro sulla spettroscopia a fluorescenza, che si è rivelata assai efficace nella quantificazione dei metaboliti della clorofilla presenti nei campioni analizzati.
Inoltre, l’interesse ad utilizzare la spettroscopia per esaminare i componenti del latte è il risultato di una discussione pubblica in corso da tempo negli ambienti scientifici statunitensi, e riguardante il latte biologico e l’alimentazione delle vacche da latte in regime di produzione organica.
“Il contenuto dei metaboliti della clorofilla”, hanno sottolineato gli studiosi statunitensi, “è significativamente più elevato nel latte prodotto da vacche nutrite con erba rispetto al latte di vacche alimentate con insilati”. I valori riscontrati sono stati compresi tra 0,11 e 0,13 μm nei campioni di latte da vacche nutrite con erba, mentre nel latte di vacche alimentate con insilati la concentrazione è stata di 0,01 – 0,04 μm. Nei campioni di latte biologico, invece, la concentrazione dei metaboliti della clorofilla è risultato compreso tra 0,07 e 0,09 μm.
“Inoltre”, hanno spiegato i ricercatori, “abbiamo esplorato i meccanismi di fotodegradazione del latte, trovando che i metaboliti della riboflavina e della clorofilla fungono da fotosensibilizzanti nel latte”. È stato anche osservato che la presenza di alti livelli di metaboliti della clorofilla può degradare sinergicamente la riboflavina, contribuendo al degrado della qualità del latte.
Intervistato sulla rilevanza di questa metodologia analitica, il direttore del Leopold Center, Mark Rasmussen, si è espresso molto positivamente, sottolineando che «il test di verifica induce le persone ad essere più oneste, dal momento che esiste un modo per controllare. E se non c’è modo di controllare», ha aggiunto Rasmussen, «qualcuno potrebbe barare, ma se c’è un test, a nessuno converrebbe essere disonesto».
«A conti fatti», ha concluso il direttore del Leopold Center, «il test potrebbe essere uno strumento molto economico disponibile negli stessi laboratori delle latterie. Dal momento che il camionista del centro latte raccoglie normalmente i campioni da analizzare, potrebbero facilmente prendere un altro campione ed eseguire anche questo test».
19 marzo 2018
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