Qualità del latte A2: qualcosa si muove anche in Italia?

La crisi mondiale di vendite che il latte vive ormai da anni ha molte e variegate cause, da noi già trattate in diversi articoli, in questi ultimi anni. Una parte di esse ha fondamenta nella dimensione produttiva industriale (qualità della vita animale, qualità reale del latte, eccesso di produzione, etc.), un’altra in crescenti problematiche sociali e di mercato (veganesimo, intolleranze al lattosio, etc.). Alcune tra le seconde (le intolleranze, vere o presunte) si intrecciano inesorabilmente con le prime (la qualità del prodotto), per cui per esse la soluzione possibile potrebbe anche esistere: nel riavvolgere il nastro per capire dove si è sbagliato a produrre, di sicuro troppo. E male.

Uno dei filoni su cui il mondo degli allevatori sta intervenendo per riconquistare fasce di mercato perdute, è quindi quello della zootecnia. Di sicuro l’esasperazione della produttività non ha portato nulla di buono alla vita delle bovine da latte, a partire dall’alimentazione a cui sono state costrette contro natura (alimenti insilati in primis). Esasperazione rispetto alla quale la gran parte degli allevatori si è scoperta di recente sulla via di un non possibile ritorno, scegliendo di optare per palliativi che non porteranno a null’altro che all’arricchimento di venditori di fumo: gente che si riempie la bocca di nuove teorie sulla cosiddetta “zootecnia di precisione”, che un fine ultimo in effetti lo ha: quello di spillare altri soldi ai più gonzi.

Sul fronte zootecnico – è evidente – gli unici ad aver ottenuto risultati apprezzabili sono i pochi e coraggiosi che hanno optato per una drastica riconversione: attraverso una significativa riduzione della mandria, il ritorno all’erba (e al fieno nelle stagioni avverse, ndr), con una modesta integrazione di concentrati vegetali no-ogm. Fondamentale e inevitabile per loro l’uscita dall’asservimento industriale (era ora che ciò accadesse!, ndr) e la capacità di gestione del loro patrimonio-latte, ognuno con una sua personalissima formula: chi si è specializzato nell’imbottigliare e distribuire latte alimentare fresco (Salvaderi di Maleo, in questi giorni sbarcato a Roma), chi ha investito in un’attività di vendita al pubblico, sia essa la gelatiera contadina (Cascina Roseleto di Villastellone) o il caseificio con annesso spaccio aziendale (Zoff di Cormons).

Tra tutti però, al momento attuale, il fronte che offre maggiori prospettive di miglioramento al latte-alimento, e ai suoi derivati, sembra essere quello di un’altra riconversione possibile, vale a dire quella produttiva, ad un latte caratterizzato dalla beta-caseina A2. Un prodotto questo che recentemente negli Usa e in Inghilterra – come avvenuto da tempo in Oceania – il mercato ha recepito favorevolmente per la sua digeribilità, ma che al momento non appare del tutto accettato in ragione di un certo scetticismo registrato tra gli stessi operatori.

A2: un latte di fatto differente
La differenza tra un comune latte A1 (la stragrande maggioranza di quelli prodotti in Italia e in Europa) e un latte A2 risiede nel diverso Dna degli animali che li producono. Circa 8mila anni fa nelle vacche presenti nel Vecchio Continente avvenne la mutazione di uno dei 209 aminoacidi della beta-caseina, la proteina maggiormente presente nel latte: le vacche A2 hanno nella propria “dote” la prolina, mentre quelle A1, l’istidina.

Una differenza di non poco conto, che rende il latte A2 più facilmente digeribile e che pone seri dubbi sul latte A1, che a detta dei suoi detrattori sarebbe riconducibile all’aumento dei casi di diabete registrato in Occidente tra i bambini, ad alcune allergie e intolleranze alimentari, e più semplicemente alla scarsa digeribilità (del latte A1) riscontrata da un numero sempre più crescente di persone. Tutte tesi che il mondo scientifico è chiamato ancora a dimostrare appieno, eppure tutte con un buon profilo di credibilità, dovuto se non altro al successo di vendite sentenziato da un pubblico sempre più ampio e fidelizzato. E dal momento in cui chi lo ha provato non è più tornato indietro, c’è da credere che i benefici siano più che concreti.

La situazione di mercato
Se è vero com’è vero che tanto l’Europa (ad eccezione dell’Inghilterra) quanto l’Italia stessa non hanno ancora dimostrato particolare frenesia verso questa novità, le dinamiche internazionali sono ben palesi scorrendo i maggiori organi internazionali d’informazione in lingua inglese: per sincerarsene chiunque potrà cercare “A2 milk” attraverso un motore di ricerca, o più semplicemente cliccare qui (per un video APnews), qui (per un articolo di Usa Today) ovvero qui (per un pezzo del Daily Star libanese).

In Italia qualcosa si muove adesso, sul mercato romano, a seguito dell’arrivo in alcune rivendite al dettaglio, gelaterie e caffetterie, iniziato giovedì scorso, del latte dell’erba prodotto dall’Agricola Salvaderi di Maleo, in provincia di Lodi. Un latte che alle straordinarie qualità nutrizionali e salutistiche (leggi qui) unisce i valori propri dalla razza Guernsey. Primo tra tutti quello della beta-caseina A2.

4 giugno 2018