Università di Catania: ”brucella nel cacio più antico del mondo”

La giara contenente il formaggio di 3.200 anni fa ritrovata dai ricercatori presso Saqqara, in Egitto – foto di Tien Nguyen tratta da da Twitter

Un gruppo di studio delle Università di Catania e del Cairo, coordinato dal professor Enrico Ciliberto, ordinario di Chimica generale e inorganica nel dipartimento di Scienze chimiche dell’Ateneo catanese, ha recentemente scoperto a Saqqara resti di un formaggio risalenti a circa 3200 anni fa (periodo dell’età di Ramesside, XIX e XX dinastia). La scoperta, accertata con metodo analitico, riveste particolare importanza per via della tomba in cui è stato rinvenuto il residuo: quella di Ptahmes, sindaco di Tebe e ufficiale di alto rango durante i regni di Seti I e Ramses II.

La tomba era stata scoperta da alcuni cacciatori di tesori nel 1885, ma la sua localizzazione, non essendo stata registrata, è andata perduta sotto le sabbie del deserto del Sahara e riscoperta solo nel 2010 dal team di archeologi dell’Università del Cairo diretto dalla professor Ola El-Aguizy. I risultati dell’eccezionale scoperta sono stati pubblicati dalla prestigiosa rivista “Analytical Chemistry”.

La mappa del sito archeologico di Saqqara- disegno di Madaki© – Creative Commons License©

«L’identificazione» del reperto, ha spiegato il dottor Enrico Greco, ricercatore alla Peking University ed ex dottorando in Scienze chimiche del dipartimento, tra i coautori dell’articolo, è stata possibile attraverso l’uso di indagini proteomiche eseguite dai componenti del gruppo di ricerca in Spettrometria di Massa Organica, di cui è responsabile il professor Salvatore Foti, che ci hanno permesso sia di accertare che il campione fosse un formaggio, sia le specie animali che hanno prodotto il latte (caprini e bovini)».

«Questo tipo di indagine», ha proseguito Greco, «ci ha permesso inoltre di tracciare una sequenza peptidica attribuibile al batterio “brucella melitensis. La brucellosi era quindi una malattia già diffusa nell’antico Egitto e sinora le uniche prove derivano dagli effetti osteoarticolari rilevati sui resti di alcune mummie. Il nostro lavoro ci permette di riportare il primo caso assoluto di presenza di brucellosi in epoca faraonica attraverso prove biomolecolari».

«Questo studio quindi», ha concluso Greco, «ci permette di stabilire con più accuratezza il periodo in cui la produzione casearia si è sviluppata nell’antico Egitto e determinare meglio le abitudini socio-economiche e culturali che ne derivarono. Inoltre l’uso della proteomica in residui di cibo così antichi è ancora un campo largamente inesplorato e potrebbe portare nuovi sviluppi in numerose discipline, dall’archeometria alle scienze forensi».

La contaminazione da brucella in un’immagine tratta dal lavoro dei ricercatori impegnati nel sito archeologico di Saqqara

Il risultato di questo lavoro, che ha destato interesse in autorevolissimi giornali di tutto il mondo (tre tra i più prestigiosi sono apparsi su New York Times, NationalGeographics.it e BusinessInsider.it), si inserisce nel quadro più ampio dell’ormai pluriennale cooperazione dell’Ateneo catanese con le università egiziane e che ha permesso di sviluppare un corso di Master a doppio titolo nel biennio 2015-2017 e numerose collaborazioni scientifiche.

Sul materiale ritrovato, riportiamo qui di seguito l’abstract dell’Università di Catania (raggiungibile nella sua versione estesa cliccando qui):

ABSTRACT (traduzione): Il materiale analizzato in questo studio è probabilmente il più antico residuo archeologico di formaggio mai trovato fino ad oggi. Il campione è stato raccolto durante gli scavi dell’Università Saqqara del Cairo nella tomba di Ptahmes risalente alla XIX dinastia. La caratterizzazione proteomica biomolecolare di questo campione archeologico da noi operata mostra che il materiale costituente era un prodotto lattiero-caseario ottenuto da latte misto di ovicaprino e vaccino. Le interazioni che il reperto ha avuto per migliaia di anni con un ambiente fortemente alcalinizzato (un terreno ricco di carbonato di sodio) e le condizioni desertiche non hanno impedito l’identificazione di specifici marcatori peptidici che mostrano un’elevata stabilità in queste condizioni di stress. Inoltre, la presenza di Brucella melitensis è stata attestata da uno specifico peptide che fornisce una ragionevole evidenza biomolecolare diretta di questa infezione nel periodo Ramesside per il quale solo prove indirette paleopatologiche erano state sinora fornite. Infine, vale la pena di notare che, sebbene gli approcci proteomici siano stati utilizzati con successo e regolarmente per caratterizzare i moderni campioni biologici, la loro applicazione in materiali antichi è ancora in una fase iniziale di studio e solo pochi risultati vengono riportati su campioni di alimenti antichi. In assenza di precedenti evidenze rilevanti di produzione e/o di utilizzo del formaggio, questo studio ha indubbiamente un chiaro valore aggiunto in diversi campi di conoscenza che vanno dall’archeometria all’antropologia, dall’archeologia alla storia della medicina, alle scienze forensi.

ABSTRACT (originale): The material analyzed in this study is probably the most ancient archaeological solid residue of cheese ever found to date. The sample was collected during the Saqqara Cairo University excavations in the tomb of Ptahmes dated to XIX dynasty1, 2. Our biomolecular proteomic characterization of this archaeological sample shows that the constituting material was a dairy product obtained by mixing sheep/goat and cow milk. The interactions for thousands of years with the strong alkaline environment of the incorporating soil rich in sodium carbonate and the desertic conditions did not prevent the identification of specific peptide markers which showed high stability under these stressing conditions. Moreover, the presence of Brucella melitensis has been attested by specific peptide providing a reasonable direct biomolecular evidence of the presence of this infection in the Ramesside period for which only indirect paleopathological evidence has been so far provided3, 4. Finally, it’s worth noting that, although proteomic ap- proaches are successfully and regularly used to characterize modern biological samples5, their application in ancient materials is still at an early stage of progress, only few results being reported about ancient food samples6. In the absence of previous relevant evidences of cheese production and/or use, this study, undoubtedly has a clear added value in different fields of knowledge ranging from archaeometry, anthropology, archaeology, medicine history to the forensic sciences.

10 settembre 2018

Per chi voglia saperne di più, basta cliccare qui per consultare lo studio, pubblicato sul sito di ACS Publications