Il riscatto dei muri a secco, patrimonio Unesco dell’umanità

Un muro ”paralupi” in buono stato di conservazione, in provincia di Foggia. Davanti a opere come questa non c’è dubbio che si debba parlare di ”cultura dei muretti a secco” – foto tratta da Camminare nella storia blog©

Chi ha avuto o abbia un orto, avendo dissodato la terra prima di coltivarla, sa cosa significa avere a che fare con le pietre: cavarle e farne un cumulo, per poi disegnare i filari di semina e trapianto, e i piccoli lotti da destinare a insalata. Una bella soddisfazione raccoglierne i frutti, certo, ma una fatica immensa è la bonifica iniziale da sassi, ciottoli e rocce su cui zappa e vanga fermano sovente le loro corse.

Se c’è una cosa che ci contraddistingue dai nostri avi, in qualsiasi latitudine e longitudine del mondo moderno, quella è la pazienza, l’attenzione e la dedizione con cui ci si prendeva cura della terra. La madre terra che al tempo stesso ci dava (e ci dà, vivaddio, volendo ancor oggi!) il substrato per coltivare cibo e il materiale da costruzione. Osservare un paesaggio montano antropizzato ancora integro ci porta a vedere, oggi come ieri, quante e quali cose si potevano (e potrebbero) fare con dei semplici sassi, con delle pietre, con dei massi: case, stalle, fienili, crottini e – ciò che meno salta all’occhio dei più distratti – muretti a secco.

Muretti a secco che sono uno dei primi esempi di manifattura umana, largamente legati alle pratiche di pascolamento, quindi al mondo pastorale, costruiti sia per la suddivisione e il terrazzamento dei terreni agricoli (soprattutto nelle zone più scoscese) che per scopi abitativi. Muretti che purtroppo, nel tempo, a causa delle intemperie e del crescente abbandono delle terre alte sono spesso franati e che, in mancanza di manodopera qualificata, sono stati spesso sostituiti da inguardabili manufatti di cemento.

L’arte della muratura a secco – Finalmente, vincendo la diffusa visione riduttivista di tutto ciò che è agricolo e rurale, la “civiltà del murare a secco” è assurta a vera e propria arte. È un’arte da riscoprire (ai pochi capaci di praticarla non manca né mancherà di certo il lavoro) quindi, quella del muretto a secco, che finalmente l’Unesco ha deciso di valorizzare con l’assegnazione del titolo di Patrimonio Immateriale dell’Umanità, accogliendo le motivazioni addotte dai Paesi europei che ne avevano presentato la candidatura (Cipro, Croazia, Francia, Grecia, Slovenia, Spagna e Svizzera, oltre all’Italia), sottolineando la “relazione armoniosa tra l’uomo e la natura” che essi significano.

Sull’importante riconoscimento ricevuto da questa antica pratica rurale, Italia Nostra si è espressa nei giorni scorsi manifestando “soddisfazione per la decisione dell’Unesco di inserire l’arte di realizzare i muretti a secco nel Patrimonio Immateriale dell’Umanità”, cogliendone l’essenza di elemento fondamentale del paesaggio agrario.

Come sottolineato dalla stessa Unesco nelle motivazioni che hanno accompagnato l’accoglimento della richiesta, “l’arte dei muretti a secco riguarda l’insieme delle conoscenze per la costruzione di strutture realizzate ammassando le pietre una sull’altra, non usando alcun altro elemento tranne, a volte, la terra a secco”.

“Da decenni”, aggiunge ancora Italia Nostra, “assistiamo alla distruzione dei muri a secco, sostituiti con terribili muri di cemento, sulla scorta dei costi, della facilità, del dilagare dell’omologazione, fin nei luoghi più delicati e sensibili del nostro Paesaggio”. “Sono muri a secco”, prosegue l’associazione, “quelli posti ai lati di antiche strade, come la stessa Appia Antica, già rinnovata e restaurata dal Canova. E sono muri a secco i piccoli edifici millenari come le capanne a tholos dei pastori o le strutture di piccole dimensioni per la pigiatura dell’uva (i “palmenti”) nella viticoltura eroica”.

“Ma sono soprattutto i muri di pietra dei terrazzamenti”, sottolinea Italia Nostra, “che disegnano da secoli il Paesaggio agricolo italiano e, da sempre, garantiscono quel microclima prezioso per la qualità dei coltivi, trattenendo l’umidità d’estate e restituendo calore a protezione delle gelate invernali alle coltivazioni di sussistenza (grano, ulivo, vite)”.

10 dicembre 2018