Ancor prima di essere quello che ufficialmente è – vale a dire docente di Prodotto e Territorio al Master di Cultura Alimentare dell’Università di Roma Tor Vergata – Orazio Olivieri è uno dei maggiori esperti italiani di legislazione agroalimentare comunitaria. Ma è anche l’autore di disciplinari produttivi che hanno esemplarmente “blindato” eccellenze come il Pecorino delle Balze Volterrane e lo Zafferano di San Gimignano alle loro peculiarità, legandoli alle specifiche biodiversità e ai loro territori.
Disciplinari i suoi che sempre hanno dimostrato di avere radici profonde nelle ricche e inconfutabili documentazioni storiche, bibliografiche e iconografiche, che sono il frutto di certosine e mai banali ricerche. Ed è proprio la sua attitudine ad andar a caccia di antichi scritti, di volumi, di epistolari e contratti di vendita ad essere alla base di una vera e propria rilettura dell’uso delle spezie dall’Antica Roma al Settecento. Una rilettura che, dopo essere sfociata nella pubblicazione del volume “L’età delle spezie” (Donzelli Editore, prefazione di Corrado Barberis; 267 pagine, 24€) porterà editore, autore e libro a partecipare alla prossima edizione del prestigioso “Gourmand World Award” (con partecipanti da 215 Paesi), in programma a Macao.

In quel concorso, “L’età delle spezie” è tra gli otto libri finalisti nella categoria “Spiece / Épices / Gewürze / Spezie” ma rispetto agli altri contendenti, che risultano essere volumi di semplice divulgazione, ha il merito di proporre una interessante rilettura dell’uso delle spezie nella storia dell’uomo.
A differenza d’oggi, per secoli e secoli (dall’Età Romana al Settecento) le spezie sono state necessarie: non solo o soprattutto per aromatizzare (i cibi cucinati come anche i formaggi: pensate allo zafferano del Piacintinu ennese e delle grandi tome alpine bresciane: Nostrano Valtrompia, Silter, Bagoss, Maniva, etc.) quanto anche per conservare, correggere e sanificare ciò che, in mancanza di frigoriferi, si mangiava e si beveva. Le spezie viste quindi non più e non solo come beni accessori ed esclusivi, bensì primari e di larga diffusione. Beni accessibili tanto a nobili, ecclesiastici e mercanti quanto a calzolai, muratori e contadini. In altre parole dei prodotti per tutti i piatti, per tutte le stagioni e ancor più per tutte le tasche.
Una nuova lettura del mondo delle spezie – Questa è la prospettiva nuova attraverso cui il libro ci mostra un universo popolato di aromi – in parte oggi perduti e in parte decaduti nel “fuori-moda”- e di ricette, alcune arrivate a noi in chiave rivisitata, altre improponibili alle nostre latitudini e ai tempi che viviamo. Ogni affermazione che “L’età delle spezie” traccia è il frutto puntuale di una ricerca accurata e innovativa, per effettuare la quale Olivieri ha attinto dal passato dell’umanità, avvalendosi sì di ricettari più o meno conosciuti, ma anche e soprattutto di fonti trascurate: lettere di mercanti, semplici liste della spesa, libri dei conti e opere letterarie e pittoriche. Ma anche diari di viaggiatori, indagini archeologiche e semplici rilevazioni di prezzi e salari.
Ma perché le spezie erano così indispensabili? La risposta va ricercata negli antichi sistemi di cottura, rimasti per lungo tempo inalterati, nella sua primitiva semplicità: se ne ricavavano vivande talmente insipide da essere spesso poco e niente appetibili. Inevitabile per questo motivo il ricorso a forti condimenti correttivi, alle spezie per l’appunto, tant’è che quasi nessuna pietanza – neppure i piatti più semplici e popolari – pare potesse farne a meno. Al tempo stesso, molti vini erano corretti con spezie, mantenendo della loro natura i benefici dell’alcol e correggendo d’essi ogni possibile difetto o scontrosità. In altre parole delle bevande alcoliche decisamente speziate, a volte consumate calde, appartenenti ad un mondo – quello enologico – che oggigiorno ci appare diametralmente opposto, sia per l’acquisizione di conoscenze e tecniche allora impensabili, sia per la ricerca attuale di vino integro, naturale.
I come e i perché della svolta – La vera svolta arrivò nel Seicento, quando – sull’onda di una prima evoluzione delle attrezzature di cucina avviata nelle corti rinascimentali italiane – in tutta Europa prese a soffiare il vento di una “rivoluzione dei fornelli” che, attraverso la regolazione del calore, portò all’esaltazione di alcune specifiche caratteristiche dei cibi che permise la realizzazione di preparazioni più raffinate. Da quel momento in avanti cambiò la sorte delle spezie: da protagoniste delle preparazioni alimentari a loro comprimarie. È così che l’opera di Olivieri ci conduce – con apprezzabile accuratezza storica, ironia e piacere del racconto – in un periodo storico assai ampio e mutevole, in cui l’età delle spezie appare tanto nel luccichio dei fasti del passato quanto anche e soprattutto nel mutevole ruolo che esse hanno poi avuto per arrivare sino a noi.
17 dicembre 2018