L’incremento esponenziale delle allergie alimentari registrato negli ultimi trent’anni nei Paesi occidentali ha portato la comunità scientifica ad investigarne le cause. Questo ha condotto ad alcune prime conclusioni, largamente condivise, vale a dire che eventuali modifiche di materiale genetico non possono – da sole o per nulla – esserne la causa, e questo per una ragione principale: per registrare dei fenomeni così significativi e diffusi, su una tale ampia scala, non basta l’avvicendarsi di una o di due generazioni.
E così i ricercatori hanno iniziato a cercare risposte in altre direzioni, giungendo ad indagare nell’ambito dei cambiamenti occorsi nell’ambiente in cui viviamo, in particolare in quello interno a noi: le mutevoli pratiche negli stili di vita registrate negli ultimi cinquant’anni, e in particolare l’aumentato uso di antibiotici e antimicrobici, l’igienizzazione spinta delle superfici ambientali, la filtrazione dell’aria e le modifiche delle abitudini alimentari – quasi tutte condizioni indotte e subite, o imposte – hanno cambiato il nostro ambiente interno e cancellato importanti batteri che avevano benèfici effetti sulla nostra salute.
Per molti anni, nel recente passato e tuttora, diverse università hanno esplorato ed esplorano il ruolo dei batteri intestinali nella prevenzione delle reazioni allergiche al cibo. I batteri, insieme a virus, ai funghi e ad altri microrganismi che vivono dentro e sui nostri corpi, costituiscono collettivamente il microbioma e svolgono un ruolo fondamentale di supporto per il nostro stato di salute.
Il microbioma è il nostro ambiente interno; esseri umani e microbi sono cresciuti in simbiosi: con l’evolversi degli umani si sono evoluti i loro microbi. Per qualche recondito motivo siamo portati a pensare che le pratiche di salute cambino lentamente nel tempo, ma dal punto di vista dei batteri presenti nelle nostre viscere, i cambiamenti nella loro composizione e funzione sono avvenuti più rapidamente, con risultati per certi versi drammatici.
Tra i gruppi di ricerca più all’avanguardia in questo àmbito investigativo, figura quello della Prof. Cathryn Nagler (nella foto qui sopra) della University of Chicago, il cui recente studio “Healthy infants harbor intestinal bacteria that protect against food allergy” (in italiano: “I bambini sani ospitano batteri intestinali che proteggono dall’allergia alimentare”: clicca qui per l’abstract e l’accesso alla pubblicazione, in lingua inglese, a pagamento) è stato pubblicato di recente dalla rivista scientifica Nature Medicine.
Il lavoro della Nagler e del suo team, a cui collabora il pediatra e allergologo Roberto Berni Canani dell’Università Federico II di Napoli (anche lui qui in foto), ha confrontato il microbioma presente in bambini con allergia al latte vaccino e quello di bambini senza allergia. Individuate alcune sostanziali differenze tra i due gruppi, gli studiosi hanno voluto verificare le capacità di protezione dall’allergia insite nelle due differenti compagini batteriche
La verifica è stata effettuata trapiantando l’intero microbioma dei due diversi gruppi – quello dei bambini sani e quello degli allergici al latte vaccino – in due gruppi di topi da laboratorio, allevati in un ambiente sterile, privo di batteri. L’idea di cui sincerarsi era elementare: se trapiantassimo i diversi gruppi di batteri nei topi, i topi diventerebbero allergici al latte vaccino, o no?
«I risultati», racconta Nagler, «si sono rivelati a dir poco sbalorditivi: i batteri di un bambino sano riescono a proteggere il topo dallo sviluppo di una risposta anafilattica alle proteine del latte vaccino, mentre i batteri di un bambino allergico al latte vaccino non vi riescono».
«Quando cataloghiamo i batteri presenti nei topi colonizzati con batteri di soggetti sani e quelli presenti nei topi colonizzati con i batteri di soggetti allergici al latte vaccino», spiega Nagler, «siamo in grado di calcolare un rapporto tra gruppi protettivi e non protettivi. Questo rapporto potrebbe prevedere con precisione se i bambini abbiano o meno un’allergia. Abbiamo anche imparato che i due diversi gruppi di batteri attivano diversi geni nell’intestino del topo».
La ricercatrice statunitense ha affermato inoltre che «i geni influenzano una varietà di processi nell’intestino, come il metabolismo e la permeabilità. Abbiamo identificato una specie batterica in particolare, la Anaerostipes caccae, come chiave. Quando abbiamo inserito questa specie in un topo privo di germi, il topo è stato protetto dall’allergia alimentare».
Concludendo, è bene registrare che questi studi dimostrano che il microbioma ha un importante ruolo di tutore della salute nelle allergie alimentari. L’ambiente interno dell’intestino è molto diverso nei bambini con e senza allergia alimentare, e questo diverso ambiente interno cambia la biochimica dell’intestino.
«Il nostro studio», ha aggiunto Nagler, «suggerisce anche un modo per sfruttare questi batteri protettivi e le molecole che essi producono, ad esempio nelle terapie per prevenire e trattare l’allergia alimentare». Potrebbero inoltre funzionare bene come strumento diagnostico per prevedere le allergie e il rischio di allergie.
Le terapie che potranno derivare da questo studio avranno bisogno di cinque o forse dieci anni per essere sviluppate e portate a beneficio delle persone allergiche al latte vaccino, ma «la sola idea che si possa fornire sollievo a bambini (e adulti, ndr) con allergia alimentare», conclude Nagler, «è di grande conforto per ogni componente del nostro gruppo di ricerca».
28 gennaio 2019