I nitrati non sono una risorsa. Qualcuno lo dica all’assessore Rolfi

Spandimento reflui zootecnici – foto di Lynn Betts© – Creatiove Commons License

Per quanto non raggiungano spesso il grande pubblico, le vicende relative all’inquinamento della acque da attività zootecniche e le normative comunitarie che ne regolano il settore (direttiva nitrati) vivono le loro dinamiche tecniche e amministrative che preoccupano il mondo della zootecnia – in specie quella intensiva, che ha molti e complessi rifiuti da gestire, ed è in grave deficit di terreni per lo spandimento di letami, acque reflue, deiezioni, etc. – più di quanto si possa comunemente credere.

L’ultimo documento ufficiale ad essere stato pubblicato in materia è quello sulla “Gestione e Tutela delle Acque” (disponibile sul portale web della Camera dei Deputati dal 21 gennaio scorso), che riferisce sull’esito dell’ultima seduta operata in materia dalla 13a Commissione (Territorio) del Senato, che nelle scorse settimane ha avviato “l’esame dell’affare assegnato n. 93 al fine di far luce sull’applicazione della normativa sui nitrati di origine agricola”.

C’è un’attenzione vigile quindi, su questa materia da parte della Commissione Europea, verso una problematica assai seria, che ha portato l’Italia a ricevere di recente una procedura di infrazione (direttiva nitrati 91/676/CEE) perché “non ha designato tutte le zone vulnerabili ai nitrati, non ha monitorato le proprie acque e non ha adottato misure supplementari in una serie di regioni interessate dall’inquinamento da nitrati da fonti agricole”.

Per il nostro Paese non si tratta della prima procedura di infrazione sulla direttiva nitrati, avendone già ricevuta una nell’aprile del 2006, poi ritirata quando la nostra amministrazione pubblica, aderendo alla formale richiesta di Bruxelles, aveva ampliato la mappa delle aree classificate come “vulnerabili”, a rischio inquinamento, includendo tutte le regioni a maggiore vocazione zootecnica: Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna. Queste furono chiamate a rispettare il vincolo dei 170Kg di azoto/ettaro/anno, distribuiti nei campi attraverso i reflui della zootecnia.

Una volta ottenuto il ritiro della procedura di infrazione, Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna negoziarono e ottennero da Bruxelles la possibilità di poter spandere nei campi, attraverso gli effluenti zootecnici, fino a 250Kg./ettaro/anno nelle aree vulnerabili. Una deroga che da allora viene rinnovata ogni quattro anni dagli organismi comunitari, ed è tuttora in vigore, per Lombardia e Piemonte.

Nel frattempo però la situazione ha investito più frontalmente regioni che non erano state valutate in precedenza, soprattutto nel Centro-Sud (preoccupa assai la situazione in Campania), non esime le realtà del Nord Italia ad operare per un’ulteriore riduzione della concentrazione dei nitrati nelle acque.

Su questo aspetto preoccupano le dichiarazioni di Fabio Rolfi, assessore all’Agricoltura, Alimentazione e Sistemi verdi della Regione Lombardia, che in una recente visita ad un grande stabilimento caseario del cremonese (lo riferiscono i siti web NewsAgeagro e CremonaOggi), accompagnato dal presidente del Consorzio del Grana Padano Cesare Baldrighi, ha dichiarato l’intenzione di «aiutare le nostre aziende a essere competitive e per questo è necessario ammodernare normative superate e senza senso come la direttiva nitrati, che frena la produttività delle realtà agricole facendo diventare un costo aggiuntivo ciò che dovrebbe essere una risorsa, ossia la materia organica delle nostre stalle». Un po’ di “confusione” – chiamiamola così – in queste parole la si nota, ed è grave che ci sia in un personaggio che ricopre quella carica, visto che il sistema su cui la zootecnia viene fondata non ha a disposizione sufficienti terreni in cui spandere reflui e letami che oggi – va detto anche questo, con allevamenti che vivono di insilati e iperproduzioni – sono ben diversi da quelli d’un tempo, a cui non è corretto neanche lontanamente alludere.

«Se nel 2018», ha aggiunto l’assessore, «abbiamo assicurato l’anticipo della Pac, nel 2019 vogliamo mettere in atto un nuovo piano d’azione sui nitrati. Si deve sburocratizzare il sistema e ridurre le sostanze chimiche nei campi per valorizzare la materia organica che ha reso la pianura padana una delle terre più fertili del mondo». Qui un’altra amnesia del politico leghista: la Pianura Padana, dopo decenni di fallimentare monocoltura del mais (impoverimento dei suoli e della biodiversità, alta vulnerabilità a parassiti e patogeni fungini e batterici) e attraverso il più recente e quantomeno controverso fenomeno del digestato, si ritrova ad essere uno degli ecosistemi più vulnerati (clostridi, fenoli, altri patogeni e tossici) in cui più che sostenere un sistema senza futuro bisognerebbe agevolare progetti di una riconversione ancora possibile.

11 febbraio 2019