È rimbalzata dai giornali inglesi a quelli italiani, nei giorni scorsi, e speriamo sinceramente che si fermi qui, la vicenda di Massimo Donati, ristoratore italiano a Londra (è lo chef di Maximo Italian Bistrot) che di fronte alle critiche ricevute su Trip Advisor da un avventore insoddisfatto (uno che voleva aggiungere del parmigiano ad un piatto di pesce, ma più probabilmente del parmesan, ndr) ha deciso di rispondere dapprima dando dello sciocco e dell’ignorante al cliente (“la tua è stata una richiesta sciocca. Ora ti spiego le regole fondamentali della cucina italiana che non conosci…”), poi invitandolo ad andare a mangiar merda (“…prova il parmigiano sullo sterco di mucca, dovrebbe avere un buon sapore per te”). Della serie “potevi anche avere tutte le ragioni del mondo (e non le avevi, ndr), ma se arrivi ad offendere una persona solo perché ha criticato il tuo lavoro, sei un insolente. E navighi nel torto marcio.
La cronaca della vicenda è ben raccontata da diversi giornali online (qui Il Tempo di Roma), e poteva quasi passare inosservata, se non fosse stato che l’intervento del Consorzio del Parmigiano Reggiano (“il formaggio in cucina va sempre bene, ovunque e comunque, pur che sia autentico Parmigiano Reggiano”, questa all’incirca la litania dell’ente di tutela) l’ha di fatto rilanciata amplificandola oltremodo, ma al tempo stesso offrendo altri spunti e prospettive di valutazione.
Dal momento in cui a questo mondo, se non si infrangono le leggi, ognuno è libero di fare, e di mangiare e bere (a casa propria) ciò che meglio crede e come meglio crede, il cliente del ristorante londinese ha fatto bene a richiedere l’aggiunta di un ingrediente ad un piatto che, a suo giudizio, risultava insipido. Come ha fatto anche bene, dal suo punto di vista (era a casa sua) il cuoco a negarglielo, ritenendo che il formaggio su quel suo piatto non andasse affatto bene. Si potrebbe disquisire all’infinito delle diverse sfumature che la vicenda riassume in sé, toccando la professionalità, il servizio, la competenza, il gusto personale, forse anche l’ego, ma di sicuro pure i dettami di una cucina – quella italiana o mediterranea – che in pochi chef conoscono sino in fondo.
Il formaggio nei piatti di pesce: un ingrediente a volte determinante – Potremmo sfidare chiunque a degustare dei calamari ripieni, o degli spiedini di pesce spada – cucinati con e senza formaggio – per vedere se il cacio può armonizzarsi o meno con il pescato, o se tante volte non sia ingrediente fondamentale per la riuscita di un piatto. Ma, al di là di ciò, quello che mai vorremmo sentirci dire è che un prodotto meriterebbe di essere utilizzato ovunque e comunque lo si voglia utilizzare, semplicemente perché è così che si fa.
Pensare che un piatto di Orecchiette al sugo possa essere fatto utilizzando un formaggio diverso dal cacioricotta è pura blasfemia, allo stesso modo in cui lo sarebbe cucinare dei Totani alla sorrentina con un cacio che non sia il caciocavallo. Cosa dire poi dei Tortelli al radicchio e robiola? Li vogliamo fare senza robiola? E nelle Mezze maniche con i broccoli, al posto del “loro” pecorino vogliamo usare forse del parmigiano? Mai e poi mai. Quindi, a ciascuno il suo, secondo il gusto, le corcondanze tra ingredienti, e le tradizioni locali, che possono essere rivisitate, sì, alla luce delle tendenze del momento, ma mai stravolte, in nome della logica di qualcuno che un giorno esalta i valori della dieta mediterranea (fondata anche e soprattutto sulla varietà degli alimenti assunti nel tempo), e il giorno dopo pare volersi accaparrare tutto.
È il gioco delle parti, quindi, e nulla più: il cuoco allora faccia il cuoco, e serva e soddisfi il suo cliente, senza sentirsi primadonna; il cliente, dal canto suo, cerchi di capire se si trova in una mensa aziendale o in un ristorante. E il consorzio, infine, cerchi di rimanere con i piedi per terra: volare molto in alto offre sì un poco di visibilità in più, ma a volte porta a perdere il contatto con la realtà delle cose quotidiane. Di cui tutti, chi più chi meno, di questi tempi abbiamo forse un po’ bisogno.
6 maggio 2019
Grazie Markus! – A margine di questo articolo cogliamo l’occasione per citare un libro di cucina forse non famoso ma che non può mancare nelle librerie dei veri appassionati dell’arte culinaria e casearia: “Pasta on the rocks” (qui una sua anteprima), pubblicato nel 2015 da Jora e di cui è autore il giovane e talentuoso chef altoatesino Markus Holzer.
Oltre allo stile brillante e ai divertenti aneddoti sull’ospitalità sudtirolese, il volume ha almeno due grandi pregi per chi apprezzi il mondo dei latti e dei molti formaggi e latticini che in Italia sono prodotti: sostiene che nel nostro Paese l’eccessivo uso in cucina di Parmigiano Reggiano (e Grana Padano, per similitudine) toglie spazio a centinaia di altri formaggi che meglio si intonerebbero a tante di quelle ricette. E poi tesse le giuste, doverose e sacrosante lodi dei burri. Quelli – e usiamo il plurale per sottolineare la varietà di produzione che l’Alto Adige sa esprimere, nei masi e sugli alpeggi, – con la “B” maiuscola, che di certo uno chef come Markus sa bene dove andare a scovare e come usare, in cucina e a crudo.