SoZooAlp e il “caso Majella”: occasione di crescita per i ricercatori delle Alpi

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Il 12º Convegno nazionale della SoZooAlp (Società per lo Studio e la Valorizzazione dei Sistemi Zootecnici Alpini), tenutosi il 27 e 28 settembre a Pian Di Cansiglio, tra le malghe bellunesi e i prati e le foreste di quel territorio, ha ospitato – in un consesso di zootecnici e veterinari di grande esperienza – quello che ormai viene definito il “modello Majella”, vale a dire l’esempio di una possibile convivenza in un habitat di montagna tra la presenza dei grandi predatori – lupo e orso – e l’obiettivo della valorizzazione degli allevamenti presenti nel Parco.

Al centro degli incontri tenutisi nei due giorni di lavori, alla presenza di esperti di vari enti, fondazioni e università (tra cui quelle di Milano, Padova e Udine) che promuovono l’innovazione e la sostenibilità degli allevamenti di montagna, i tecnici del Parco Nazionale della Majella hanno portato il proprio racconto e le proprie esperienze. Nella loro narrazione, gli esperti ospiti hanno ripercorso, documentandoli efficacemente, 15 anni spesi nell’assistenza e nella valorizzazione della zootecnia estensiva, all’interno di un parco tra i più accreditati in Europa per la conservazione del lupo e dell’orso.

Il congresso ha così rimarcato tematiche di grande interesse per gli allevatori delle Alpi e degli Appennini, coerentemente con l’impegno che la SoZooAlp si prefigge da sempre, in favore della valorizzazione di un settore fondamentale per le economie dei territori montani. Un settore che rappresenta l’eccellenza nel campo delle produzioni agrozootecniche nazionali e, al giorno d’oggi, un’attività produttiva che – se da un canto è sostenibile dal punto di vista ambientale – dall’altro rappresenta uno dei principali strumenti per il mantenimento della biodiversità nell’agroecosistema, in particolare in quegli ambienti seminaturali che nei secoli sono stati plasmati dal lavoro dell’uomo. Ambienti che oltre a racchiudere tesori paesaggistici di inestimabile valore, hanno saputo tutelare in maniera esemplare sia la flora che la fauna.

“Per anni il Parco”, hanno spiegato i tecnici dell’ente abruzzese, “ha lavorato con gli allevatori, dapprima affrontando il problema delle predazioni sul bestiame, per studiare e per realizzare dei sistemi di prevenzione adeguati alle esigenze delle aziende”, poi “ha elaborato il progetto della “Restituzione della pecora”, che con alcuni allevatori ha determinato un modello di grande interesse in termini di coesistenza tra le attività zootecniche di montagna e la conservazione del lupo”.

Oggi poi, guardando al futuro, grazie alla collaborazione tra gli uffici botanico e veterinario del Parco e i ricercatori della botanica e della veterinaria dell’Università degli Studi di Perugia, il Parco della Majella sta studiando in profondità lo stato dei pascoli e degli habitat in via di abbandono e già abbandonati. Una condizione che riguarda le attività produttive per tradursi poi nell’abbandono della coscienza e della capacità gestionale.

Di fronte a tutto ciò, la tendenza del Parco è quella di recuperare le capacità di gestire i territori, di ricreare le condizioni ideali per gli allevamenti sostenibili nella prospettiva possibile di affermare un ruolo sinergico e funzionale alla tutela della biodiversità che peraltro è stato riconosciuto, finalmente, dalla normativa e dalle direttive europee.

Con l’esempio della Majella, l’Appennino ha dunque portato, nel consesso di una rete di ricercatori di rilevantissima esperienza e competenza, il caso forse più virtuoso di un’attenzione e di una visione della zootecnia di montagna tra le più acute e lungimiranti. Un esempio limpido e utile a favorire il recupero culturale di valori e di opportunità economiche per molte altre genti e comunità che ancora resistono nelle Terre Alte.

7 ottobre 2019